Carne

Viola trattiene Mattia con un braccio mentre apre lo sportello del forno.

Mamma, fammi vedere, mamma, fammi vedere, cantilena lui, sbilanciandosi in avanti come se si stesse sporgendo da un davanzale. Lei se lo spinge dietro la schiena, cerca qualcosa sul ripiano. Caterina vieni. Sono qui. Viola sposta presine, mestoli, posate, la bilancia – perché c’è sempre questo casino? – fa cadere una lattina vuota di pelati che schizza il tappeto di rosso. Mattia, smettila, Caterina, vieni ad aiutarmi. Cosa cerchi, mamma? Mattia scivola in ginocchio e si infila tra le gambe della madre, raccoglie la lattina e passa l’indice sotto al bordo. Mattia, ti tagli, ti fai male, Caterina, non lo vedi che si fa male? Viola sbatte l’ultimo cassetto, che si chiude e riapre subito. Caterina toglie la lattina a Mattia. Cattiva, mugola lui, e si porta il dito sporco di salsa alla bocca. Marco vieni, che sto facendo un disastro! Vieni, disastro, vieni, disastro, vieni.

La porta si apre e la sigla di un quiz televisivo invade la cucina. Marco si affaccia, ha una bottiglia di vino in mano. Cate, mi prendi il cavatappi? Marco, portati di là Mattia, che qui si fa male. Mattia vieni con papà. Non so dov’è. Non trovo il termometro, non si trova mai niente in questa casa. Hai guardato nel cassetto sotto il microonde? Mattia ride, alza le gambe e gira sul sedere spingendosi con le mani sul pavimento. Marco, che dici, è cotto secondo te? Qua non c’è, papà. Cercalo Cate. Giro, giro, giro. Prenditi Mattia che qui si fa male. Dovremmo averne due, di cavatappi. Chi sfiderà il campione questa sera? Caterina apre lo sportello sotto il lavandino e due bottiglie di plastica accartocciate rotolano fuori. Ma cosa fai? Volevo buttare questa. Quindi mi state dicendo che non abbiamo un cavatappi? Buttala nel lavandino, no? Il campanello suona. Mattia urla. Un montepremi da capogiro! Lo sapevo che si faceva male, ve l’ho detto. Marco appoggia la bottiglia sul tavolo e prende in braccio Mattia, che adesso piange davvero. Che hai fatto? Brucia, brucia, brucia, brucia. Viola cerca uno spazio dove appoggiare la teglia che ha estratto dal forno. Il campanello suona di nuovo, più a lungo. Vai ad aprire, no? Caterina si chiude alle spalle i singhiozzi del fratello e le voci dei genitori. Fruga tra i cuscini del divano, trova il telecomando e zittisce il campione in carica che sta rispondendo alla prima domanda. Si sfila i capelli da dietro le orecchie, liscia la felpa sui fianchi, passa la lingua sulle labbra screpolate. Apre la porta e sorride a Riccardo.

Ogni lunedì, mercoledì e venerdì pomeriggio, alle quattro, Caterina esce dalla sua camera, attraversa il salotto dove Riccardo sta giocando con Mattia o lo sta aiutando a fare i compiti – gli unici momenti in cui la tv è spenta sono quelli in cui c’è Riccardo – e va in cucina. Prima: si mette il lucidalabbra che tiene nascosto nel cassetto della scrivania, si scioglie i capelli, e, in bagno, si spruzza il profumo di Viola sul collo, facendo attenzione a rimettere la boccetta esattamente dove l’ha trovata. Dopo: esce dalla cucina con il toast senza bordi e il succo all’albicocca di Mattia e li poggia davanti a lui, poi sorride a Riccardo e gli chiede: posso offrirti qualcosa?

Riccardo ha portato una bottiglia di vino. Non è vestito come al solito, quando viene a lavorare: ha una camicia e un paio di pantaloni scuri e anche la sua faccia sembra diversa, ma Caterina non saprebbe dire perché. Gli sorride, si fa lasciare la bottiglia, gli dice di accomodarsi. La porta della cucina sbatte. Mattia esce di corsa e si avvinghia alle gambe di Riccardo, ha gli occhi gonfi e la mano avvolta in uno strofinaccio. Piano, Mattia. Riccardo ha portato questa. Peccato che non abbia portato un cavatappi. Marco va a stringere la mano a Riccardo. Viola lo bacia sulle guance. Dove la metto? Scusa, sembra una casa di matti. Sarai abituato. Non fa niente. Che hai fatto alla mano, Matti? Brucia. Va in frigo? Siediti dove vuoi. Iniziamo subito che è tutto caldo, non ti aspettare chissà cosa, non sono una cuoca. Il profumo è buonissimo. Caterina apre il frigo e incastra la bottiglia tra un vasetto di maionese e una lattina di birra. In fondo al ripiano più basso, nota il manico argentato del cavatappi. È infilato nel tappo di una bottiglia che qualcuno, all’ultimo, deve aver deciso di non aprire. Lo porta in salotto. Gli altri si sono seduti a tavola. Riccardo occupa il posto che di solito è di Caterina. Sta raccontando qualcosa sull’università. Viola ride. Marco annuisce. Mattia sbatte le posate sul piatto fingendo di essere un batterista. Caterina poggia il cavatappi accanto al piatto di Marco. L’ho trovato. Ha detto che non poteva darmi più di 25, si aspettava che lo rifiutassi, e io ho risposto: dove devo firmare? Mattia colpisce il bordo del suo bicchiere con la forchetta. Viola scoppia a ridere troppo forte. Marco afferra il cavatappi come se fosse sempre stato lì e stappa il vino. Cate, potevi portare l’antipasto.

Ogni sera, prima di addormentarsi, Caterina immagina di dire a Riccardo: posso offrirti qualcosa? e che lui risponda: la tua bocca, il tuo culo, le tue tette, le tue cosce, le tue dita delle mani, i tuoi piedi, i tuoi capezzoli. Mai: la tua vagina. Quello che succede dopo, Caterina lo vede sempre in modo diverso: a volte è un bacio romantico, a volte lui la spinge sul divano e le mette le mani sotto la maglietta, oppure le lecca il collo. Nel dopo, Mattia, il suo toast senza bordi e il succo all’albicocca spariscono.

Viola solleva il vassoio dell’antipasto: chi lo finisce? Riccardo? No, grazie, è buonissimo ma sono a posto. Marco? Lascio spazio per il roast beef. Non fatevi pregare, io sono a dieta. Caterina segue le oscillazioni del vassoio nelle mani di sua madre. Oggi ho fatto tre goal, annuncia Mattia. Tre? Uno di testa. Viola porta via gli ultimi avanzi di antipasto e torna con la teglia del roast beef, la mette al centro del tavolo. Mattia sale in piedi sulla sedia e si sporge a guardare la carne, risucchia le labbra fino a farle scomparire e scoppia in lacrime. Schifo, vomito, schifo, vomito. Non fare così, non si dice. Mattia simula un conato, salta giù dalla sedia, si butta sul divano e comincia a singhiozzare. Riccardo fa per alzarsi. Ma no tranquillo, ora gli passa. Cate, vai a prendergli il suo prosciutto. Caterina si alza. Togli il grasso, che altrimenti non lo mangia.

Nella realtà, quando Caterina dice: posso offrirti qualcosa?, Riccardo chiede un bicchiere d’acqua, una lattina di coca, o un succo di frutta. Non prende mai da mangiare. Caterina gli porta quello che vuole, poi dice: vado a studiare. Tu non fai merenda?, le chiede lui, qualche volta. Non ho fame risponde lei. Poi torna in camera, chiude la porta a chiave, si stende sul letto e si slaccia i pantaloni. Apre il cassetto del comodino e pesca un sacchetto di patatine, poi una merendina, poi una tavoletta di cioccolato – mamma e papà non sanno che Mattia vuole solo il toast senza bordi, per merenda –, a volte apre il vasetto di Nutella e ci affonda le dita. Mentre mangia, pensa a Riccardo.

In cucina, Caterina estrae dal frigo il prosciutto crudo che sua madre compra apposta per Mattia. Magro, dice alla commessa, ma alla fine c’è sempre qualche filamento di grasso, è inevitabile. Caterina prende un coltello, incide le fette per eliminare ogni venatura bianca. Dalla porta socchiusa la raggiunge la voce di Viola: ti piace, Riccardo? È veramente buono, complimenti. Non è proprio come al ristorante, ma è venuto bene. Ho fame, mamma! Adesso arriva il prosciutto. Caterina rimuove il grasso e lo ammucchia sul bordo della carta oleata. Marco, metti una fetta sola a Cate. Mica la fa ingrassare, la carne fa sangue. Tutto fa ingrassare, lei è predisposta, non lo vedi che culo le sta venendo? Mamma, voglio il prosciutto. Arriva. Cate, ti muovi? Sarà lo sviluppo. Caterina raccoglie il grasso e lo butta nell’immondizia, prende un piatto e ci trasferisce le fette di prosciutto ripulite. Non voglio essere cattiva, lo faccio per lei: di faccia non è brutta, ma è grassa. Avevi il culone anche tu, quando ti ho conosciuta. Sì, ma i ragazzi oggi non le vogliono le ciccione, vero Riccardo? Caterina aspetta con il piatto di prosciutto in mano. Immagina che lui risponda: io le voglio. Anzi: io voglio Caterina. Invece lo sente dire: sicuramente sarebbe tutto più facile se dimagrisse un po’. Caterina raggiunge il tavolo, mette il piatto davanti a Mattia, che comincia a trangugiare il prosciutto prendendolo con le mani. Sentito, Cate? Lo dice anche Riccardo. Già che sei in piedi, prendi la bottiglia che ha portato?
Caterina torna in cucina, chiude la porta e ci poggia la schiena, poi la nuca. Sente un ronzio nelle orecchie, le gira un po’ la testa. Si toglie la felpa e la lascia cadere a terra. Si toglie i jeans e li spinge in un angolo con il piede. Non sta respirando, le lacrime le rigano le guance. Le asciuga, tira su col naso e prende un piatto pulito dallo sportello sopra il lavandino. Il coltello che ha usato per il prosciutto è ancora sul tavolo, poggiato sulla carta oleata. Comincia con il fianco sinistro. Non serve andare troppo in profondità, basta togliere il grasso, quello che fa schifo. Il sangue cola sul pavimento, denso e scuro come la salsa per il roast beef. Adagia la prima fetta sul piatto. Nonostante la porta chiusa, riesce a sentire le risate in salotto e a visualizzare i volti sorridenti, soprattutto quello di Riccardo. Affonda di nuovo la lama, stacca un’altra fetta. La stende accanto alla prima. Passa all’altro fianco, è un lavoro noioso, ma necessario. Fissa la carne rossastra e lucente nel piatto.
Posso offrirti qualcosa?, pensa.

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