L’era glaciale

Le spiagge sono organismi mutevoli e complessi. Quella della Punta lo è in modo particolare, esposta com’è a correnti gagliarde che armano mareggiate, rimescolano fondali e depositano sulla battigia pesci dagli occhi enormi e dalle dentature mostruose. Li raccoglie, da anni, un forestiero, un anziano professore di scienze che dicono abbia pubblicato studi importanti; una volta in pensione, si è trasferito dalla Germania e ha preso in affitto una casa dai pescatori. Ogni mattina, alle prime luci dell’alba, scende a perlustrare la battigia, incurante dell’acqua marina che gli lambisce le scarpe e vi ha disegnato sopra un alone biancastro. In quel tratto di costa, la vita pulsa anche quando lo scirocco freddoso sferza le strade e in giro non si vedono più nemmeno i cani randagi. Le case sono piccoli cubi bianchi con verandine che affacciano direttamente sulla spiaggia, a soli cinquanta passi dalla punta che separa i due mari, proprio sotto al pilone che sorveglia lo Stretto da duecentotrenta metri di altezza. Durante le sciroccate, al Professore piace guardare la furia del vento, la schiuma che si infrange sui massi, la spaventosa risacca che trascina pietre con rumore di ferraglia; gli abitanti del luogo, invece, se ne tengono alla larga con timore reverenziale, aspettando che passi.

Nulla di significativo accade in questo angolo di terra: uomini sfaccendati, feluche tirate in secco, odore di peperoni arrostiti, pescatori che si annoiano in piazza mentre le mogli cucinano il pranzo. Hanno occhi azzurri nascosti in una fitta tela di rughe e lo sguardo di chi si è trovato faccia a faccia con totani giganti e tonni pugnaci; ogni tanto le loro mani si contraggono come se dovessero ancora tirare la rete e annaspano nel vuoto. Il Professore li saluta uno a uno: Nicolino, Enzo, Bastiano, conosce tutti e per ognuno ha una parola; sono loro la sua miniera inesauribile di informazioni sulla fauna dello Stretto, più dei poderosi volumi di zoologia della sua Università.

È stato un bell’uomo, il Professore, lo dicono i tratti del viso appena smarginati dal tempo. Forse ha avuto dei figli. Forse una moglie. Qui nessuno l’ha mai visto accompagnarsi a una donna. Quando ancora insegnava, usava soggiornare alla Punta quattro settimane l’anno – due in primavera e due in autunno – per reperire il materiale biologico necessario alle sue ricerche. Avanzava sulla linea del bagnasciuga con una torcia in mano; chino sulle pietre, raccoglieva con una pinzetta i pesci spiaggiati sull’arenile e li infilava delicatamente in provette piene di un liquido trasparente che trasportava in una piccola borsa termica. Le barche che si ritiravano dalla pesca notturna gli offrivano un totano o un’aguglia, lui accettava con un inchino e un sorriso. Una volta Nicolino l’aveva accompagnato all’istituto Talassografico; il direttore lo aveva ricevuto con tutti gli onori e, nel guidarlo a visitare i laboratori, gli aveva mostrato i disegni del geometra Mazza, appesi in cornici di legno scuro lungo le pareti dei corridoi. Al cospetto di quelle cartilagini diafane tratteggiate in punta di matita e di quelle squame lucenti che splendevano sulla carta come fossero appena uscite dall’acqua, il Professore aveva riconosciuto in sé lo stesso sentimento che provava nei confronti delle donne e che lo spingeva a impossessarsi di ciò che non aveva per poterlo distruggere, e se ne era ritratto inorridito.

Sono passati molti anni, da quel giorno, e il Professore non ha mai dimenticato quei disegni. Lui, però, cerca la verità e sa che non la troverà in fogli di carta o in provette da laboratorio e che la formalina preserva gli organismi marini ma non il sentimento. Forse è nei pescatori, la verità. Nelle giornate di bel tempo si scaldano le ossa al sole, seduti davanti all’uscio di casa o nella piazzetta, scrutando il viavai dei traghetti su cui lavorano i figli; i più fortunati si sono imbarcati e mantengono la famiglia, gli altri li hanno persi, morti o emigrati. Dopo la passeggiata mattutina, il Professore li raggiunge in piazzetta per scambiare qualche parola; gli parla di Wagner e di Goethe, recita per loro qualche verso. Si è fermato in quel villaggio per diventare una persona buona, per essere modellato dall’acqua e dal vento anno dopo anno, come il profilo della Punta. I sentimenti, però, non si possono preservare in formalina come i pesci e il Professore si danna per non riuscire a scalfire la crosta di ghiaccio che lo imprigiona e non lo fa dormire la notte.

Un giorno di maggio muore Bastiano, il più vecchio dei pescatori. I compagni gli rendono omaggio con una processione di barche e invitano il Professore a unirsi a loro. Lui sale sulla “Natalina”, barcolla per il rollio, poi riacquista l’equilibrio e prende posto sul sedile di poppa umido di salsedine, accanto a Enzo che regge il timone. La giornata è limpida, si riesce a distinguere persino il faro di san Raineri in lontananza, oltre la chiesa di Grotte. Le barche avanzano con i motori al minimo, una dietro l’altra; arrivati davanti a casa di Bastiano, dal motopesca “San Nicola” che guida la processione parte un sibilo di sirena e in quel momento il Professore alza lo sguardo al cielo e vede uno stormo di cicogne sorvolare lo Stretto. Gli accarezza la faccia un grecalino teso – “vento cavaliere”, lo chiamano da queste parti – che si è incanalato da nord e di cui tra qualche ora non sarà rimasta che una bava.

Quando la cerimonia finisce, fa rientro a casa e la casa gli sembra vuota, eppure è piena di libri, dischi, quaderni e album impilati su ogni piano d’appoggio e persino sul pavimento, e di scatole in cui conserva cose che un tempo sono state importanti e ora non ha più il coraggio di guardare. Le pareti sono coperte da scaffalature metalliche sulle quali decine di contenitori di vetro di ogni dimensione sono disposti ordinatamente, ciascuno contrassegnato da un’etichetta di carta ormai illeggibile. Questi vasi contengono formalina in cui sono immersi pesci con enormi occhi sporgenti e dentature da squalo. Alcuni sono lunghi appena pochi centimetri. Bathofilus nigerrimus, Vinciguerria attenuata, Argyropelecus hemigymnus, il Professore ne ricorda a memoria tutti i nomi. A cosa è servito il suo inutile catalogare, pensa. Bastiano, con la sua quinta elementare, ne sapeva più di lui, non c’è bisogno di lauree per conoscere l’animo umano e le cose del mondo.

Un giorno di molti mesi dopo i pescatori vedono il Professore camminare sulla spiaggia in compagnia di qualcuno. È un ragazzo dai capelli lunghi e biondi annodati in treccine, che indossa una giacca a vento viola; nessuno l’ha mai visto prima. Avanzano fianco a fianco lungo la linea del bagnasciuga, il ragazzo si rivolge al Professore parlando fitto e gesticolando, il Professore procede fissandosi le punte delle scarpe scolorite dall’acqua salata, ogni tanto si ferma a riprendere forza, e in quelle soste il ragazzo gli si rivolge con veemenza, come se volesse convincerlo di qualcosa. Michele, Enzo e Nicolino li osservano dalla piazzetta. Ora si sono fermati accanto ai massi che proteggono le barche: il Professore si appoggia al più alto, la testa china e la schiena incollata al cemento ruvido. Il ragazzo gli sta di fronte. A un tratto lo abbraccia e rimane così, a cingergli le spalle che si alzano e si abbassano al ritmo di un pianto dapprima sommesso, poi sempre più incontrollabile. Quindi le due sagome si separano, il Professore si spolvera l’orlo dei calzoni e riprendono a camminare tornando sui loro passi, superano la piazzetta, scompaiono dietro la Punta.

Dal giorno dopo, il Professore sparisce. Nessuno lo vede andar via. La casa ha le imposte chiuse e la bicicletta è legata al palo.

3 Replies to “L’era glaciale“

  1. Valeria… che forse da un Bastiano o da un Nicolino ha imparato l’arte di catturarare il lettore nelle maglie della sua rete narrativa.
    Ed è bello lasciarsi imprigionare.

  2. Mi è piaciuto. Bella l’atmosfera, il personaggio, ma soprattutto mi ha colpito la scelta di alcuni vocaboli, forti, che fanno vedere al lettore le cose in modo diverso.

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