Il peccato di Dio

Quando Dio bussò alla porta di Maria, lei era in attesa di Giuseppe, di ritorno dalle fatiche del lavoro. Un giorno ti costruirò una casa di legno e un forno di pietra, le aveva detto tante volte.

Maria sentì bussare alla porta e corse ad aprire; non riconobbe, nel tocco, la chiamata: un incedere che non risuonava sul legno della porta, ma sulla carne dello spirito. Spalancò le braccia all’uomo davanti a lei per poi subito richiuderle, colta da pudore. Colse qualcosa di familiare in quel viso, qualcosa di vicino ai suoi sogni di bambina.

L’uomo era lì, esattamente come se lo era figurato. Maria si impaurì della sua stessa fantasia. Pensò: tanto è forte l’immaginazione e un desiderio di bambina: i bambini plasmano il mondo. Dopo la paura, venne la voglia di toccarlo. Ancora una volta, niente di erotico. Avvicinò d’istinto la mano verso quel volto che ancora taceva e la fissava. Lui le sfuggì senza muoversi, lei credette di non saperlo toccare. Sopraggiunse il desiderio di conoscerlo. Chi sei tu?, chiese Maria. L’uomo disse il suo nome. A Maria parve assurdo sentire la sua voce e non vedere muoversi le labbra, come se quella voce potesse risuonare direttamente nelle orecchie di lei. Io sono Io, questo Maria aveva sentito. Non seppe trattenersi: rise. Rise tanto forte e talmente bene che Io mutò i suoi lineamenti: divennero benevoli. Io ricordò allora – se si può dire che Dio ricordi qualcosa – il perché era disceso: sentirla ridere, vedere le guance arrossarsi, le sue fossette farsi più profonde: sentirsi appagato di una sensazione che mai avrebbe potuto provare: la serenità dopo la felicità. Io sono Io, ripeté, perché desiderava che Maria ridesse ancora – ma Dio non conosce i tempi comici e Maria smise di ridere. Ti chiamerò Io, gli rispose cortese Maria, Ora però devo andare, mio marito è di ritorno dal lavoro. Maria fece per chiudere la porta, ma Io la fermò: Tornerò, disse.

Non abbandonava Dio quel senso di invidia per l’uomo, per la sua possibilità di rimediare alle mancanze, di poter migliorare. Lui, in fondo, che aveva da migliorare? Pagine e pagine di Storia umana in sua assenza. La vecchiaia eterna che si portava dietro lo aveva ridotto a un grumo di regole, schemi così rigidi che a romperli sarebbe crollata l’intera impalcatura dell’esistenza. Dio non era disposto a migliorare, le regole che aveva pensato erano più forti di lui: era destinato a una Storia di continue giustificazioni.


Nei giorni successivi Maria pensò intensamente a Io. Giuseppe le parlava di legno e di case e di travi e di chiodi; lei negli occhi non aveva travi, ma solo l’immagine di Io che cambiava espressione e assumeva un bellissimo sguardo benevolo. Io ricomparve quando ormai Maria aspettava da troppo tempo: tornò a bussarle delicatamente sul cuore e lei aprì, per la seconda volta.

Perché ci hai messo tanto? La risposta fu una strana sentenza, difficile da decifrare: Non so contare i tuoi giorni.

Maria intuì un disagio in Io. Prese il dolore di Io nel suo petto e lo cullò come un bambino, così intensamente che Dio sentì per la prima volta il calore che è quello dell’amore di una mamma. Questa volta Dio non invidiò l’Uomo, Io invidiò un uomo: Giuseppe. Dio si maledisse per non aver mai pensato di creare Maria dal Principio, dopo tanta eternità e rassegnazione. La sua perfezione non gli aveva mai concesso l’esperienza di sentirsi compreso. Solo Maria era salita tanto in alto da arrivare alla mente di Dio, superando a ritroso ogni imperfezione umana fino alla perfezione massima.

Giuseppe intanto incedeva pesantemente verso casa. Io sentiva i passi premergli sulla nuca ed ebbe timore di mettere in pericolo Maria. Incontriamoci sotto l’albero che sorge al fianco del pozzo, aspettami lì, tra tre notti, le disse. Maria chiese: Perché di notte? Giuseppe mi sentirà uscire e si sveglierà. E poi, ho paura del buio.

Io sorrise al pensiero di una paura così innocente; infine ricordò la bellezza della serenità dopo la felicità: anche la paura serve. Porta con te una lampada ad olio, e non temere per tuo marito, so con certezza che in quelle notti dormirà sonni profondi. Così Dio disse, e così fu; tre notti dopo Giuseppe dormì profondamente, sommerso da sogni che narravano di grandi deserti e grandi fughe. La terza notte Maria portava in grembo la sua lampada a olio; camminando, le sovvenne la madre che le spegneva la lampada prima di dormire nonostante lei la implorasse di non farlo: la mamma non sentiva mai ragioni, non c’erano soldi da spendere per olio sprecato, e così Maria smise di piangere; la povertà è più forte della paura. Quando vide il pozzo si sentì pacificata. Ma non c’era Io, ed ebbe un tremito: se non fosse stato puntuale? Se anche quella volta avesse tardato, lei sarebbe rimasta sola e alla luce fioca di un lumino. Io, invece, era nascosto dietro un arbusto. Aveva scelto di attenderla lì, preso dal pensiero che Maria non sarebbe venuta. Così nascosto, l’aveva aspettata per tutte e tre le notti: Io non lo sapeva, ma aveva paura. Quando, la terza notte, la vide provò un senso di gratitudine; non capì che era quella la serenità dopo la paura, la felicità dopo la tristezza. Quando Maria vide Io le sembrò che quell’uomo così bello recasse con sé una luce ancora più luminosa della lampada.

Si misero seduti con le spalle rivolte al pozzo; la pietra, dopo ore di sole, scaldava le loro schiene. Parlarono la notte intera, senza stanchezza; Io si esprimeva in modi incomprensibili, Maria faticava a seguire i suoi discorsi deliranti: si confessava come un ragazzino al quale non era mai stato concesso di essere ascoltato e che, una volta trovate orecchie gentili, vi riversava dentro tutti i pensieri terribili e solitari di adolescente. Maria, che ragazzina non era mai stata, ascoltava e non le pesava quella mole di parole. Solo il tempo le premeva il petto: quanto più scorreva e il sole arrossava le nuvole, tanto più avrebbe voluto spingerlo in giù e far sì che la notte non finisse; la paura del buio era ormai ricordo di bambina, passata attraverso lo sguardo amorevole di Io.

Le notti seguenti Dio non si mosse dal suo arbusto, continuò ad aspettare. Poté riflettere su tutti gli altri appuntamenti che aveva mancato, tutti gli episodi della Storia che aveva lasciato deflagrare in un silenzio indifferente, e pensò che forse avrebbe dovuto ridiscendere alla creazione più spesso. Stava imparando il valore del tempo.

Maria gli parlò di una vita ingabbiata, di un uomo – Giuseppe – dormiente anche da sveglio, seppur buono e gentile. Maria chiese a Io perché lei non riuscisse ad amare un uomo che, in fondo, non le aveva fatto assolutamente nulla. Io non aveva risposte per un moto dell’animo che non conosceva, perché l’animo non l’aveva mai avuto. Forse non si sceglie la persona da amare, ma solo di amare. Lo disse ancora svelto, con gli occhi grandi e sgranati, da pazzo, ma Maria sentì nel cuore quelle parole e si commosse. Se io scelgo di amare, allora posso scegliere di amare proprio te, Io? Io non aveva parole che corrispondessero ai pensieri che gli si affollavano dentro; voleva dirle che sì, lui non aspettava altro che il suo amore. Si guardò intorno come per trovare le parole, e vide solo gli occhi di Maria, così disse: Io voglio guardare me stesso attraverso i tuoi occhi, amarmi come mi ami tu. Seppur quell’affermazione le risultasse misteriosa, come era misterioso l’uomo che aveva scelto di amare, Maria si fece afferrare dall’istinto e lo baciò: baciò Dio e il suo Mistero, con la lingua, i liquidi del corpo e la passione, con l’amore carnale e l’amore viscerale. E Dio baciò per la prima volta, lui che aveva sempre solo pensato all’idea di un bacio, di una carezza, della carne e della tenerezza.

Si amarono, Maria e Dio si amarono fortemente, tanto che Maria si dimenticò della sera che diventava mattina e non pensò più ai sogni terribili di Giuseppe. Rincasava giusto in tempo, sfidando una sorte che neanche Dio poteva controllare: per quanto volesse prolungare i sonni profondi, questi avrebbero dovuto trovare una fine: prima del Desiderio di Dio viene la Legge di Dio, e la Legge dice che un uomo non può dormire per sempre, a meno che non muoia.


Quando, una notte, Maria arrivò piangendo al pozzo, Dio sentì che un tempo stava per finire, e conobbe l’angoscia. Giuseppe questa mattina s’è svegliato prima che io potessi rimettermi a letto – disse – m’ha vista in piedi in cucina e ha fatto domande, io non gli ho detto nulla ma secondo me sospetta qualcosa, perché ho visto nei suoi occhi una domanda inespressa, e io ho dentro un segreto inespresso che mi rende colpevole. Io la baciò per disperazione, nella foga del momento e nella paura di non poter più godere della sua bocca, del suo corpo, dei suoi fianchi pieni e caldi. La baciò senza parole: s’erano ormai scambiati reciprocamente le chiavi dei loro occhi. Non restava altro che baciarsi e unirsi per un’ultima volta in un abbraccio stretto e soffocante. Dio avrebbe voluto morire tra le braccia di Maria, conoscere l’ultima delle esperienze inconoscibili, amarla di un amore umano. Non era possibile, così continuò ad amarla come poteva, fino a che non seppero entrambi che era il momento di dividersi.

Nel momento del riposo dopo l’amore, Dio poggiò la sua testa tra i seni nudi di Maria, che gli pettinava i capelli e guardava le stelle. Era assorta in un dolore troppo umano per la sua comprensione. Dio allora parlò un’ultima volta, dicendo a Maria quello che Io non avrebbe detto mai, ma che Dio amorevolmente doveva: Vorrei guardarmi attraverso i tuoi occhi, crescere attraverso te, sentire attraverso te, rinascere in te, morire in te, ma non posso: Io sono Dio, non riesco a essere nessun altro; invece Giuseppe può diventare chiunque decida di diventare, perciò dovresti amare lui: posso solo sperare di incontrare una Maria diversa, meno santa, meno umana. Dio voltò la schiena al pozzo e a Maria, si diresse verso l’arbusto. Quando Maria si alzò per raggiungere Io, lui non c’era.

Maria, materna e sensibile e rivoluzionaria quale era, accolse quelle parole. Tornò a casa e volle fare l’amore con Giuseppe. Giuseppe si svegliò con il corpo di Maria che premeva su di lui, ed ebbe un sussulto; ma quel sussulto si placò per fare spazio a un moto continuo del corpo, che conobbe un ritmo congiunto a quello della consorte, una comunione silenziosa che credeva di aver perduto nei suoi incubi. Maria gli insegnava che c’era redenzione dai propri dolori e dal silenzio. Fecero l’amore. In quel momento, Dio seppe che Maria e Giuseppe stavano rinascendo l’uno nell’altro. Io si insinuò ancora tra le gambe di Maria, in un ultimo atto di invidia verso Giuseppe, condannandolo padre di Dio e sottomettendosi per sempre al suo ruolo paterno.

Io bussò una terza e ultima volta alla carne e allo spirito materni di Maria nella speranza di potersi guardare attraverso i suoi occhi come fa solo un bambino, crescere in lei, trovare una nuova Maria da amare umanamente e, infine, morire.

Dio nacque nove mesi dopo nel muco, nello sputo, nel freddo e nel pianto, come ogni creatura vivente, scevro della nozione del bene e del male, consapevole solo degli occhi della mamma e del suo seno pieno di latte: questo fu il suo unico peccato.

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