Oggi è il mio ultimo giorno in dipartimento. Sto impacchettando le mie cose in due scatole di cartone. Oggi è il mio ultimo giorno in dipartimento perché dalla settimana prossima inizio a lavorare.
Sono stato assunto dalla Banca Centrale Europea, domani mi trasferisco a Francoforte. Questo sarà il mio primo lavoro, almeno sotto un certo punto di vista. Nel corso degli ultimi tre anni ho avuto uno stipendio mensile, ma di fatto si trattava di una borsa di studio, né si può dire che quello che facevo fosse un lavoro nel senso stretto del termine. Nessun orario, pochissime incombenze, ampio margine di manovra. Sento dire che il primo impatto con un lavoro possa essere spiazzante per chi viene dall’accademia.
Il mio lavoro sarà nella divisione statistica monetaria della Banca Centrale Europea. La statistica monetaria ha a che vedere con l’evoluzione temporale dell’offerta di moneta. L’evoluzione temporale e i relativi modelli li conosco abbastanza, visto che è quello che ho studiato negli ultimi cinque anni. Sull’offerta di moneta invece non sono molto ferrato. Per questo due settimane fa ho preso un libro in biblioteca. Si intitola La politica monetaria in Italia. L’autore è un tale Franco Cotula, della Banca d’Italia. Quello che ho capito sull’offerta di moneta leggendo il libro è che ci sono tre aggregati: M1, M2 e M3. M1 è la moneta circolante, M2 è dato da M1 più i depositi bancari a breve termine e M3 è uguale a M2 più i depositi a lungo termine. M1, M2 e M3 servono per tener traccia della quantità di moneta presente nel sistema economico. Forse non ho capito molto bene la politica monetaria anche perché M1, M2 e M3 mi facevano pensare alla linee della metropolitana di Milano, e mentre leggevo il libro davanti agli occhi i nomi delle fermate ballavano e mi confondevano gli intrecci di linee colorate della planimetria. Ad ogni modo, mi sollevo pensando che forse capire a fondo la politica monetaria potrebbe anche essere irrilevante per analizzare l’evoluzione temporale di M1, M2 e M3. Penso sia sufficiente tenere a mente che M1, M2 e M3 sono sequenze di numeri e non linee della metropolitana.
La rilevanza pratica del mio lavoro si esperirà nelle relazioni, che dovrò preparare mensilmente, sull’andamento dell’offerta di moneta. Le mie relazioni finiranno nelle mani del comitato esecutivo. Alle volte, passi di esse verranno citati nel bollettino mensile. Durante le conferenze stampa, i responsabili dei rapporti coi media si baseranno su di esse per rispondere alle domande dei giornalisti. Lo si direbbe un ruolo di responsabilità.
Il mio stipendio sarà di circa 90000 euro l’anno. A questi si deve aggiungere un budget mensile di 1500 euro per l’affitto di una casa. L’appartamento che ho affittato si trova a Bockenheim. Il quartiere di Bockenheim si trova nella zona nord-ovest della città: passa per essere un quartiere universitario. La maggior parte dei miei futuri colleghi abita invece al Westend, un quartiere più lussuoso. Non ho preso un appartamento al Westend unicamente perché nessuno tra quelli che ho visto (entro il budget assegnatomi) mi sembrava carino. E comunque Bockenheim è adiacente al Westend. Sono riuscito a usare il budget per intero.
L’appartamento si trova in Konrad-Broßwitz-Straße, ed ha una superficie di 90 metri quadri: è composto da una camera matrimoniale, una camera degli ospiti, una sala da pranzo, un soggiorno e una piccola cucina. C’è inoltre una sorta di veranda lastricata che mi è stata presentata come giardino d’inverno. Bockenheim è un quartiere di giovani, e lungo il percorso che va dalla fermata della metropolitana di Kirchplatz al mio appartamento si trova una specie di centro sociale. L’ho dedotto dal fatto che la facciata è pitturata con falci e martelli e altri simboli della sinistra radicale. Un altro murale suggestivo rappresenta un pugno rosso gigantesco che schiaccia una svastica e un tipo occhialuto in giacca e cravatta. Quel tipo potrebbe essere un banchiere. Inizialmente mi sono inquietato e ho chiesto all’agente se ci fossero problemi di ordine pubblico. Lei mi ha assicurato che non ci sono problemi di alcun tipo, e che il centro sociale si limita a proporre cineforum e serate di approfondimento politico. E poi comunque ci ho ripensato. Se non altro può servire come memento.
Il mio stipendio è di 90000 euro l’anno, suddiviso in dodici mensilità. La settimana lavorativa è di 40 ore. Ho 30 giorni di ferie pagate. Se consideriamo parte del reddito anche le spese per l’affitto, si conclude che guadagno circa 60 euro l’ora. I banchieri a Francoforte ricorrono spesso a supporto psicologico. L’assicurazione medica copre le spese per il dentista ma non per lo psicoterapeuta. Un percorso terapeutico di tipo analitico tradizionale richiede due o tre sedute alla settimana. Un buon terapeuta costa dai 70 ai 120 euro l’ora. Se ne deduce che i bancari che si rivolgono a un supporto psicoanalitico lavorano all’incirca cinque ore alla settimana per pagare il terapeuta. Mi era parso di capire che in diversi paesi europei la settimana lavorativa è di 35 ore. Evidentemente non si tratta del mio caso. Qualche sindacalista potrebbe obiettare che, se la settimana lavorativa fosse di 35 ore anziché 40, non ci sarebbe bisogno del supporto psicologico. Non mi sembra una teoria molto convincente. Neanche Emanuele è di questo avviso.
Emanuele è stato il mio compagno di stanza negli ultimi due anni. Da domani non avrò più un compagno di stanza, visto che avrò un ufficio personale. Ciò significa che potrò ascoltare la musica senza le cuffie, ma anche che dovrò rinunciare ad ascoltare le teorie di Emanuele. Emanuele sostiene che i dipendenti della Banca Centrale Europea avrebbero bisogno di trombare piuttosto che di andare in palestra o all’opera. Ne segue che se riorientassero il proprio tempo libero verso l’attività sessuale piuttosto che quella fisica o intellettuale, non avrebbero bisogno di supporto psicologico. Questa teoria mi suona più plausibile di quella del sindacalista.
Mentre Emanuele espone la sua teoria, io riempio la prima scatola. È una scatola di cartone che conteneva risme di carta per la fotocopiatrice. 5 risme da 500 fanno 2500 fogli. Una scatola costa circa 15 euro e pesa poco più di dieci chili. Un albero abbattuto è sufficiente per fabbricare più di 30 di queste scatole (piene di carta). Riempio la scatola coi miei effetti personali: alcune penne, un paio di bicchieri, una teiera, alcuni documenti amministrativi, delle fotografie. Poi la porto in segreteria e do indicazioni perché venga spedita al mio nuovo indirizzo. La spedizione costerà circa 20 euro con un corriere espresso.
La seconda scatola conteneva un computer. È marrone, e sopra c’è scritto “Siemens-Fujitsu”. I computer in questione sono quelli che vengono acquistati in maniera centralizzata dal CONSIP. Costano circa 600 euro. Secondo alcuni è un affare, secondo altri no, principalmente perché i computer arrivano dopo come minimo tre mesi da che uno li ha ordinati. Data la rapida obsolescenza dei componenti, quando il computer arriva esso vale non più di 450 euro. La quota di manodopera necessaria per produrre un computer è di circa 150 euro. Una ventina servono per il processo di assemblaggio, che in genere avviene in loco. Il restante serve a pagare chi fabbrica le varie componenti. Il grosso delle componenti si fabbrica in estremo oriente. I dipendenti delle aziende elettroniche sono tecnici specializzati e guadagnano circa 2 dollari l’ora. Sono dei privilegiati rispetto ai loro concittadini che lavorano nelle industrie tessili a 30 centesimi l’ora.
Adesso che la seconda scatola è piena, pesa sensibilmente di più di quando conteneva il computer. La scatola è piena di libri, riviste, articoli che ho studiato e che più o meno dovrei ricordare. In effetti, quello per cui fino a oggi ero pagato è studiare delle cose e scriverne altre. Si potrebbe dire che il contenuto di quella scatola è condensato nel mio cervello. Saranno almeno una quarantina di chili. In effetti adesso mi è impossibile alzarla da solo, devo farmi aiutare da Emanuele. Porterò la scatola che contiene tutto quello che ho studiato e che dovrei sapere nel sotterraneo.
Nel sotterraneo ci sono un sacco di altre scatole appartenenti ad altre persone. Non tutte se ne sono andate. Molti anzi sono ancora membri del dipartimento. Solo che nelle loro stanze non c’è più posto, e allora mettono via la roba vecchia forse con l’idea, un giorno, di riprenderla in mano. In effetti anche Emanuele ha avuto bisogno di spazio nel sotterraneo. Un paio di anni fa, un suo collega di Pisa è andato in pensione e gli ha donato la sua biblioteca personale. Circa ottocento volumi, tra libri e riviste. Quando le scatole sono arrivate, siamo scesi nel sotterraneo per piazzare i volumi su qualche scaffale, ma abbiamo constatato che non c’era più posto. Allora abbiamo adocchiato uno scaffale basso che conteneva varie centinaia di copie identiche del saggio Il problema della casa in Italia, di Renato Rocci. Reato Rocci è stato uno dei membri fondatori del dipartimento, ma è stato precocemente colpito dal morbo di Alzheimer, ed ha pertanto avuto il prepensionamento. Il saggio Il problema della casa in Italia fu scritto nel 1970. Ne vennero stampate mille copie. Un centinaio è finito in varie biblioteche sul territorio nazionale. Le rimanenti erano nel sotterraneo. Per scrupolo, abbiamo controllato il registro della biblioteca e abbiamo constatato che nessuno ha mai preso in prestito una copia del saggio. Almeno negli ultimi dieci anni, da quando il registro dei prestiti è digitalizzato. Non mi intendo del problema della casa in Italia, ma posso immaginare che chi se ne occupa oggi abbia davanti a sé un panorama molto diverso da quello del 1970, e che pertanto il saggio sia ormai obsoleto. Così decidiamo di liberarci delle copie del volume rimaste nello scantinato. O meglio, di quasi tutte. Ne lasceremo una cinquantina. Non si sa mai.
Con un carrello della spesa, scendiamo nello scantinato. Emanuele spinge il carrello davanti allo scaffale. Io prendo una delle copie del saggio e la apro. Con meraviglia constato che non si tratta di un saggio, ma di una bibliografia ragionata. In sostanza, sono duecento pagine di riferimenti bibliografici. Tutti articoli che Renato Rocci doveva conoscere bene. Una sorta di istantanea dei contenuti del suo cervello al 1970. Iniziamo a riempire il carrello. Con stupore ci accorgiamo che con un carico non riusciamo a portare più di cento copie. Poi portiamo il carrello in superficie e iniziamo a gettare le copie dentro il cassonetto della carta. La gente che passa per strada ci guarda con meraviglia. Alcuni sorridono. Uno studente ci chiede se ci può dare una mano. Noi gli rispondiamo di sì e lui inizia a scagliare gioiosamente i volumi dentro il cassonetto. Ci vorranno dieci viaggi dilazionati in due settimane per risolvere il problema della casa in Italia e liberare lo scaffale.
In realtà risolvere il problema della casa in Italia si è rivelato uno sforzo vano, poiché l’inverno scorso il sotterraneo si è allagato e i volumi che avevamo sistemato sono stati rovinati. Un risvolto positivo dell’allagamento è però che adesso c’è spazio in abbondanza per sistemare la mia scatola.
Dopo aver sistemato la scatola, sono pronto per andarmene. Faccio un giro delle stanze e saluto i miei colleghi. Infine, mi avvio verso l’uscita e mi fermo a salutare Gaia in portineria. Le dico che ho lasciato la mia scatola nel sotterraneo. Lei sembra un po’ contrariata, e dice:
“Guarda che l’anno scorso si è allagato tutto, è probabile che risucceda”.
Io le dico che non mi importa. La scatola prima conteneva un computer del valore di 600 euro e pesava circa dieci chili. Adesso contiene tre anni del mio lavoro. In totale, tre anni del mio lavoro sono costati all’università di Firenze circa 36000 euro. Tre anni del mio lavoro pesano 40 chili. Se si usano tre anni del mio lavoro come carta da riciclare, non si riesce a salvare neppure un albero. Quindi, penso, se anche il sotterraneo si allagasse di nuovo non sarebbe una gran perdita. E, in ogni caso, il contenuto della scatola si dovrebbe essere tutto trasferito dentro il mio cervello. A meno che non venga colpito dal morbo di Alzheimer come Renato Rocci.
Bellissima anatomia del cervello dell’autore, che risuona bene con quella di tanti di noi che “cedono alle lusinghe”. Grazie Jacopo !