Mictlantecuhtli

Ossa su ossa ricoprivano la terra grigia fino al limitare dell’orizzonte e nel mezzo, annoiato e sospiroso ammazzava (in assenza d’altro) il tempo Mictlantecuhtli, signore dei morti.

Con la falange ossuta, un tempo protesa a rendere tremule le ginocchia dei vivi, si batteva un incisivo, un canino e l’altro incisivo, a un ritmo che nei secoli aveva giudicato lo aggradasse. Dopo trecento anni, l’eco dell’operazione aveva generato un’intricata tela di riverberi.
Il popolo di Mictlantecuhtli era sparito dolorosamente e in fretta per via del morbo dei bianchi.

La noia aveva ridotto il dio dei morti a un recluso scorbutico. Mictecacihuatl, sua moglie, aveva abbandonato il regno alla ricerca di nuove emozioni. Anni prima Mictlantecuhtli aveva ricevuto una cartolina dagli inferi ellenici: ritraeva Mictecacihuatl che giocava a pallavolo con Proserpina, utilizzando una testa dall’espressione melanconica. Sull’angolo dell’inquadratura spuntava il faccione livido di Ade, sorridente dietro un puntuto pollice alzato. La lettura della cartolina aveva comportato una breve interruzione del ritmo digitale, tramandata negli anni seguenti da un opportuno vuoto della trama sonora.
Mictlantecuhtli avrebbe desiderato seguire la moglie, ma era uno all’antica, non avrebbe mai abbandonato la sua postazione. Piuttosto la Morte!, si ripeteva spesso, per poi ridere alla sua stessa battuta.
Capitava anche che Xolotl, l’orribile cane, lo visitasse di tanto in tanto, portando con sé notizie dal mondo dei vivi: decrepiti pronipoti nahuatl in odore di paganesimo, conflitti maggiori che si stava perdendo, o gli ultimi sviluppi di alcune telenovelas che Mictlantecuhtli seguiva con fervore da zelota.
Quel giorno, Xolotl raggiunse il trono di Mictlan. L’affanno che esibiva vezzoso per sottolineare la propria natura canina, era più intenso del solito.
«Xolotl, fedele guida, orrido nahual del Serpente Alato, cosa ti porta tra le grigie polveri dei morti?»
La voce di Mictlantecuhtli emanava dal teschio e insieme da tutti quelli che punteggiavano la pianura sconfinata. Alle sue parole, le candele di Mictlan tremolavano leggere. La parola del dio della morte era il rumore del silenzio, coagulato nel buio con l’unico scopo di suscitare un terrore annichilente. Udirla sul sottofondo d’un centenario martellare di denti la rendeva pomposa e comica.
«Mic non puoi capire, ne è successa una che… puoi finirla con questa cosa dei denti? Davvero, è irritante».
«Mictlantecuhtli fa ciò che più gli aggrada. Parla, orrido Xolotl».
«Certe volte sei proprio stronzo».
Il cane aveva passato gli ultimi decenni nel mondo dei vivi, tornando solo per far da scorta al saltuario pagano di ritorno. I suoi modi erano cambiati di conseguenza.
In altri tempi, Mictlantecuhtli avrebbe tratto un infinito piacere nel trafiggerne le carni con le schegge d’ossidiana trascinate dal vento di Ilztepetl, ma la verità era che in assenza d’altri, il cane era la sua unica compagnia e Mictlantecuhtli, col tempo, aveva cominciato a sentirsi terribilmente solo.
«È sempre un onore ricevere il tuo plauso, orrido Xolotl. Ora dimmi. Gabriela ha finalmente lasciato Roberto o non ha ancora scoperto il tradimento a opera dell’infida Pilàr?»
«L’ha scoperto, ma prima s’è scopata Hernàndo e mo’ non sa se vendicarsi o usare la cosa per farsi perdonare. Mic non è questo, sono venuto per un altro motivo. Una figata. Non puoi capire».
«Uno di quegli infernali carri senza cavalli pieno di nuovi fedeli ha trovato la propria fine in un baratro?»
«Meglio. C’è uno che ha appena attraversato Tepetl Monamiclia, l’ho intravisto da lontano poco prima dei venti di ossidiana. Era in compagnia».
«Dei vivi? In effetti è insolito. Ma saranno eroi in cerca di fortuna. In tre anni arriveranno qui e li smembrerò».
«La parte migliore te la devo ancora dire: sono arrivati l’altro ieri».
Il ticchettare dei denti di Mictlantecuhtli si interruppe. Alcuni secondi dopo, anche l’eco si spense e per la prima volta a Mictlan regnò il silenzio.
Con scricchiolare di ossa che stridono e tendini secchi che si distendono dopo secoli, si raddrizzò sul suo trono e protese in avanti il teschio macchiato di sangue, gli occhi scoperti, perennemente sbarrati in un’espressione di sconcerto. Xolotl ghignò, soddisfatto per essere riuscito a stupire il signore dell’oltretomba. L’ultima volta era stato un lustro prima, quando aveva portato la notizia che Pilàr non solo non era morta, ma era anche incinta.
Il viaggio per Mictlan era sempre durato quattro anni. Il rituale lo imponeva, così come alcuni collaudati accorgimenti architettonici. Le nove prove erano scogli aguzzi da superare con immane fatica. La morte, per gli Aztechi, era qualcosa che andava guadagnato. Ilztepetl era la terza tappa del pellegrinaggio e raggiungerla necessitava di norma diversi mesi.
«Ti rendi conto di cosa significa, Mic? Questo tizio, nella migliore delle ipotesi, racconta la storia di come ti ha spaccato la faccia e qui torna trafficato come una volta! Fedeli, Mic, fedeli nuovi di zecca! Non quei fattoni massacrati dagli allucinogeni che ci arrivano una volta ogni lustro».
«E chi ti dice che Mictlantecuhtli, signore delle ossa polverose di Mictlan, custode delle storie dei morti, si lascerà sconfiggere?»
«Perché sono quattrocento anni che stai a fare pezzi bassline battendoti sui denti».
Ma Mictlantecuhtli già non ascoltava più. Era schizzato in piedi e batteva la pianura a lunghe falcate, raccogliendo apparentemente a casaccio dalle ossa, pezzi di un equipaggiamento da battaglia. Squittiva come un bambino.
«E dimmi, orrido Xolotl, com’è l’eroe? Come sono i suoi compagni?»
«A parte che orrido comincia pure a rompere il cazzo, Mic. È il caso di ferire così i miei sentimenti? Comunque che ne so, stavo dall’altro capo di Ilztepetl, non si vedeva molto. Lui era vestito di bianco da capo a piedi, però. Gli altri non li ho visti ma erano parecchio grossi».
«Un saggio, forse. Un saggio alla guida di feroci guerrieri!»
«Non lo so, Mic. Guarda, tra una decina di ore parte la puntata nuova di Velluto Caliente. Se non mi avvio adesso me la perdo e chi ti sente più? Ma ti faccio sapere meglio il prima possibile».
Svanì ingoiato dal fluire del tempo, alla volta del regno dei vivi e di un televisore che ricevesse la programmazione cilena. Mictlantecuhtli, invece, se solo ne avesse avuta, non sarebbe stato più nella pelle.

Nei giorni seguenti, alcuni pallidi infanti paffuti di Chichihuacuauhco portarono a Mictlantecuhtli biglietti stropicciati da parte di Xolotl, che lo aggiornava sulle mosse del prode intruso.

L’eroe ha superato in due ore Ilztepetl. Ha una bella Jeep – Xolotl”

Due giorni e mezzo per Paniecatacoyan. Un record assoluto, considerando che è fatto per girarci in eterno. Impresa compiuta con un qualcosa chiamato GPS. PS. Pilàr si è scopata pure Hernàndo – Xolotl”

Tecoylenaloyan ridotta a un mattatoio. Mic, sei sicuro che vuoi farti nemici del genere? Armato di clava? PS. Devi procurarti nuove bestie mangiacuori, quelle vecchie le hanno fatte arrosto. PPS. Compratelo un cellulare, siamo nel ventunesimo secolo – Xolotl”

Mi sono avvicinato abbastanza da sentirli parlare. Non ho capito una sola parola. Tra l’altro credo mi abbiano anche visto. L’eroe è cicciottello e non mi sembra particolarmente eroico. La Jeep pare che non sia una jeep, ma un mezzo militare anfibio. Xochilonal al momento è sullo spiedo. Fossi in te mi preparerei. A questo ritmo in un paio di giorni arrivano a Chicunamictlan. PS, Gabriela ha scoperto tutto e ha sparato a Pilar. Di nuovo – Xolotl”

Mic, scappa. Mi hanno visto, mi sa che mi stanno seguendo. Non sono e…”

L’ultimo biglietto terminava in una graziosa fioritura di sangue. Il bambino che lo aveva portato aveva ancora il viso imbrattato e gli occhietti vacui un po’ scossi. Mictlantecuhtli lo congedò senza chiedere oltre.
Il giorno dopo, scolorito, silenzioso e imbambolato, Xolotl raggiunse il trono di Mictlan. Non ansimava. Non dondolava. Non proferì parola. Buona parte del suo cranio canino era stata divelto da una violenta esplosione. Le mani gli erano state recise. Mictlantecuhtli gli si avvicinò solenne, appoggiò il lungo medio affilato sui ruderi della fronte e con un guaito poco convinto, la carne evaporò dalle spoglie incolori di Xolotl. Lo scheletro dell’orribile cane collassò in mezzo a milioni di altri e Mictlantecuhtli ne raccolse da terra il teschio scempiato. Poi tornò sul suo trono e attese, in assoluto silenzio, mentre il cielo di Mictlan si faceva nero.

L’eroe raggiunse Chicunamictlan dopo appena un altro giorno, all’interno di un veicolo massiccio e nero, coperto di strati e strati di detriti accumulati nelle nove prove dell’oltretomba: graffi d’ossidiana, residui di frecce, sangue, fango.
La jeep si arrestò a una decina di metri dal trono e ne emersero sei colossi, protetti da un costoso equipaggiamento militare e armati di enormi fucili dall’aspetto futuristico. Uno di loro portava al collo le mani recise di Xolotl. Una volta schierati in posizione i mercenari, dall’auto fuoriuscì un ometto basso e panciuto, dai tratti bonari e vestito di un’immacolata tunica bianca, che ne faceva risaltare il viso abbronzato e sereno.
Il cielo di Mictlan esplose in un tuono assordante e dalle ossa che circondavano il trono eruppe una brulicante marea di pipistrelli e serpenti e ragni che si riversò sulla pianura, accumulandosi su sé stessa fino a creare una colonna orrida e viva. I mercenari non parevano colpiti, ma alzarono comunque i fucili. L’eroe panciuto osservava interessato.
La colonna di creature dell’ombra si dischiuse come un manto e da esso emerse minaccioso Mictlantecuhtli, in tutta la sua magnificenza: lo scheletro alto più di due metri, le palle degli occhi spiritate che scintillavano fiamme nelle orbite del teschio, le penne rituali e i sandali variopinti. Spalancò la bocca dentuta in un grido feroce e ne fuoriuscirono le stelle che salirono in cielo a illuminare la sinistra distesa di ossa, deturpata dal passaggio della Jeep. Puntò il macuahuitl gocciolante sangue verso gli intrusi e tuonò:
«Infimi mortali, siete nel regno di Mictlantecuhtli, signore di Mictlan, custode delle storie dei morti, colui che dona la fine. Siete vivi eppure avete compiuto il sacrilegio di venire qui, avete ucciso il nahual del Serpente Alato e disonorato il rituale di purificazione imposto a ogni vivente. Sarete smembrati per mille anni e mille ancora!»
Fece per scagliarsi contro di loro, quando, serafico, l’eroe alzò una mano con gesto molle.
«Lei è quindi il padrone di questa terra».
L’eroe parlava un nahuatl scolastico, striato da una lingua straniera nata tra le sabbie del deserto. Mictlantecuhtli si fermò con il macuahuitl a mezz’aria. Il suo interlocutore non aveva mostrato alcun tentennamento di fronte a uno spettacolo che normalmente spezzava i nervi più saldi. All’interno del tronco scoperto, il cuore di Mictlantecuhtli saltò un battito, vittima di un sentimento che non sperimentava da millenni.
«Mictlantecuhtli è il signore di Mictlan».
«Bene, bene. Ci scusiamo per essere venuti qui senza nemmeno avvisare. Ci dispiace anche per il… cane che i miei uomini hanno dovuto eliminare. Le vostre terre sono pericolose e non si è mai troppo prudenti. Sapremo riparare alla perdita. Il mio nome è Saab VI al-Said al-Mubarak al-Jamed e sono per prima cosa, per grazia di Allah, l’altissimo, un uomo d’affari. Un ricchissimo uomo d’affari».
«Il signore di Mictlan non sa cosa farsene del denaro. Il dio dei morti non ha commercio con i vivi».
«Oh, non sia blasfemo. C’è un unico Dio. Esso è Allah. E con la sua benedizione ho attraversato queste terre per proporle un affare».
Mictlantecuhtli aveva sentito da Xolotl di questa nuova moda dei culti monoteisti. Gli erano sempre parsi molto curiosi. Del resto tra divinità ci si conosceva tutti e gli era sembrato strano che di questi unici dèi non avesse mai sentito parlare nessuno. L’attenzione di Mictlantecuhtli, però, verteva sull’accordo. Nessun mortale gli aveva mai proposto un accordo.
«Mictlantecuhtli ascolta la tua offerta».
Avrebbe soddisfatto la sua curiosità per poi pasteggiare con le loro ossa. Gli sembrava una linea di condotta accettabile.
«Lei è un uomo…»
Mictlantecuhtli sbuffò rumorosamente, mentre quella rediviva sensazione ai precordi continuava ad accentuarsi.
«… un uomo saggio. La mia famiglia ha un fiorente commercio nel mondo superiore, ma siamo in tanti ed è sempre bene accumulare, voglia Allah, altra ricchezza, per permettere a ognuno dei membri la piena prosperità. Intendiamo comperare Mictlan».
Il dio fece una risata corrosiva e affamata, un roboante tuonare di grattugia che riverberava attraverso centinaia di migliaia di teschi nella pianura, compresi quelli degli intrusi.
«Mictlan è ossa e dolore e la fine e il silenzio. Cosa sperate di far crescere qui, sotto un Sole spento e tra le ossa aride?»
Lo sceicco roteò nuovamente la propria mano:
«No, no. Intendiamo convertire questo luogo in una splendida industria manifatturiera. Pensavamo al cuoio. Basterebbe non ridurre in ossa i morenti, sottratti col sotterfugio al luminoso Allah e farli lavorare in eterno cucendo palloni e scarpe. Non mangerebbero, non dovrebbero fermarsi, essere pagati o tutelati dalla legge. Lei siede su una miniera d’oro, signore, e io intendo acquistarla a prezzo pieno».
Un altro battito in meno, ancora quella sensazione dimenticata. Negare la morte a chi l’aveva meritata dopo un lungo e doloroso viaggio gli pareva mostruoso oltre ogni limite e proporgli di abbandonare il suo oltretomba, in cambio dell’oro, ridicolo.
«Mictlantecuhtli rifiuta la vostra offerta, ma accetterà volentieri la vostra anima!»
E come una marea, il dio della morte e il suo fluire di bestie si riversarono sugli intrusi, con una veemenza antica che il mondo aveva ormai dimenticato. Purtroppo, però, il mondo aveva supplito con una ferocia nuova e impassibile, di cui abbondava il candido sceicco. Con un ulteriore gesto della manina scura e curata, la scorta di guardie del corpo alzò i fucili d’assalto e iniziò a crivellare di proiettili Mictlantecuhtli e la sua terribile coorte. La spinta esercitata dal dio si esaurì di fronte alla muraglia di pallottole, mentre intorno esplodevano i corpicini orrendi degli animali suoi figli.
In pochi istanti, corrispondenti a circa un quarto di caricatore, Mictlantecuhtli realizzò cosa fosse quella strana sensazione che non riusciva a nominare: risaliva agli inizi del mondo, quando lui e la sua generazione di divinità aveva sostituito quella precedente: il primo sintomo del nuovo, del cambiamento.

Il corpo a pezzi di Mictlantecuhtli rovinò ai piedi dello sceicco e questi ne sollevò il cranio come giorni prima il dio della morte aveva fatto con quello di Xolotl. La voce dello sceicco era serena e disinteressata:
«Lo consideri, in tal caso, come un esproprio. La ringrazio della sua collaborazione».
Senza più un corpo collegato alla testa, Mictlantecuhtli osservò immobile il futuro che avanzava.

Al termine dell’ultima puntata di Velluto Caliente, Mictlantecuhtli ammise a sé stesso di essersene appassionato solamente grazie ai racconti di Xolotl. Dalla grande residenza di Mictlan dello sceicco, era costretto a fissare le infinite distese dell’oltretomba, ricoperte di impassibili gusci una volta umani, intenti a cucire articoli di pelletteria. Nel campo visivo, rientrava il televisore con cui Mictlantecuhtli era riuscito a recuperare dall’inizio Velluto Caliente, come unica concessione del suo carceriere. Se fosse stato capace di girarsi, avrebbe notato il teschio di Xolotl su un ripiano alle sue spalle, finemente intarsiato e tramutato in uno splendido posacenere di design.
La televisione si spense da sola, come da programmazione, e fu in quel momento che entrò lo sceicco con una delle sue numerose mogli. Senza degnare di uno sguardo Mictlantecuhtli, si sfilò la lunga veste e la appoggiò con cura alla struttura ad albero formata dalle spoglie riarrangiate della divinità. Mentre lo sceicco si lasciava cadere nel letto che occupava gran parte della stanza, sua moglie implorò:
«Saab, dobbiamo per forza tenere quell’appendiabiti orribile in camera? Mi fa paura».
E mentre lo sceicco tuffava il volto tra le carni di lei, rispose, dolce, conciliante e paffuto:
«Oh, amore mio, lascia che lo tenga. Ha un suo perché».

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