Verginità

“Dicono che quando nasci c’hai le branchie. Che sei un pesce paffutello, pronto a immetterti nel flusso. Che sfuggi a tutti i tentacoli e alle schegge, che esisti ma non ti si può toccare. Che l’impalpabilità è dalla tua. Che cazzo il traguardo l’hai già tagliato, sei un supereroe e il resto è in discesa”.

“E quanto dura?”, mi chiede Elisa. Mi guarda con gli occhi un po’ stralunati, ha sempre sospettato che io fossi pazzo senza mai confessarlo apertamente.
“Non dura proprio un cazzo. È la verginità del pesce. E le verginità esistono solo per essere profanate. La tua ti ricordi quanto poco è durata, no?”
“Idiota. Dai, che intendi?”
“Ascolta. Dura fai un cinque minuti, se vogliamo quantificare. Il tempo di essere scodellati fuori. E poi appena sei fuori birimbimbim, eccolo il rumore delle schegge. È tutto un disgustoso assalto batteriologico al gusto di RNA, DNA, qualcosa-A”.
“Tu stai fuori zii”.
“Può darsi”.
La guardo bene. È vagamente bella. Tipo, a parte gli occhi è bella. Ha una testa dalla forma graziosa, i denti bene allineati, i riflessi rossi nei capelli. Forse artificiali, ma tanto per noi uomini è uguale. È insomma sommariamente bella, pure sexy facciamo. Ma gli occhi no. Hanno troppa luce, o forse troppo poca. Non che io comprenda veramente. Devo guardare meglio. E se invece di guardare io l’affogassi?
“Dai basta, mi guardi troppo strano oggi. Risciacquati e usciamo da sta vasca da bagno che tra un po’ diventiamo tutta una grinza. Andiamo a fare qualcosa ora, un film magari” dice.
Un film d’azione: io che t’affogo puttanella mia adorata, mia peschina succosa. Ti appoggerei prima i polpastrelli sulle tempie per rassicurarti inventandomi cazzate sull’amore, ti guarderei fin sotto le iridi. Ti direi: “io ti amo! Ti amo! Fammi vedere come nuoti sott’acqua adesso!” Una smorfia di noia mi stringe le labbra e le rende simili a una serpe che sta per sferrare il suo attacco al topo. È che in fondo il dramma non fa per me, e i miei umori sono mutevoli come l’armadio di Elisa. Ma persistiamo, persistiamo. Fermiamo l’immagine un secondo ancora.
“Oh ma ti puoi muovere cazzo? Ogni volta che sto a dormire da te dopo aver fatto serata insieme sei di un rincoglionito unico. Alza il culo e facciamo qualcosa in sta domenica, dai”.
“Statti calma, piccola. Arrivo. Inizia ad andare. O rimani un attimo ancora con me, scegli tu insomma, fai quel cazzo che ti pare”.
“Non ho mai capito come possa piacermi uno pigro e stronzo come te ma va bene, resta pure nella vasca tutto il pomeriggio, io inizio a vestirmi”.
“Vieni qui, ‘ndò vai?”
Con uno scatto repentino che stupisce anche me, la afferro per un braccio e le butto la testa sott’acqua e poi subito fuori. La stupida ride.
“Dai scemo, cosa fai, ahah”.
Ecco sto ricominciando a guardarla. Dovevo capire perché non mi piacciono gli occhi, eravamo rimasti qui. Lo rifaccio.

La verginità del pesce dura cinque minuti. Poi è un attacco improvviso, una vertigine salata. Un taglio che non può essere curato. La salsedine che rapprende lenta. La morte dalla vita, e viceversa, dista una verginità. A coglierla non ci sono principi azzurri ma un unico stronzo poco galante: un movimento spasmodico, una carie che ti materializza sottraendoti all’invincibilità.

Lei scalcia, spinge con le braccia, vedo le bolle, esce.
“Aiuuutt, lasciami! Lasciamiiii!”
Lascio andare Elisa. Eccola una luce negli occhi. Le emozioni sono colorate e la paura è di un bel violaceo screziato. Delizioso intonato ai riflessi rossi dei suoi capelli.
“Elisa, pure tu sei un pesce. Sei il mio pescetto liquoroso”.
“Sei proprio un pezzo di merda, io qui da te non ci vengo più”. Il movimento. Le sue braccia agitate e il respiro corto.
Elisa si rialza dalla vasca. Osservo le sue natiche rotonde e ben fatte allontanarsi lasciandomi nel mio personale acquario di pensieri. Forse ho esagerato, l’ho spaventata. È la volta buona che mi molla e amen, scheggia più scheggia meno. Intanto quel culo ben fatto me lo sono gustato. La mia peschina innocente, con quegli occhi placidi. Ma quanto erano belli stavolta, viola. Tanto tornerà. Con il mio accappatoio a mo’ di cappio.
“Elisa, anche tu, sai, sei piena di schegge su quel tuo corpo morbido”.
“Ma piantala, cosa dici!”
Nei suoi occhi un’inquietudine strana, come di chi ha appena accusato uno squarcio che da dietro l’orecchio fa colare un rivolo sottile di sangue in acqua. Sangue invisibile, come quella promessa di vuoto eburneo. La mia peschina. Stavolta bluastri, proprio bella.
“Arrivo anch’io. Dovevo smaltire la serata, è come dici tu”.
Cinque minuti. Ognuno è crocifisso a modo suo.

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