La qualità della vita

La mattina, lungo il tratto di metropolitana che mi porta dalla casa dove abito al mio ufficio, non so cosa fare.

La metropolitana non è mai troppo affollata, riesco quasi sempre a trovare posto a sedere. Però il tragitto è troppo breve per leggere qualcosa che vada oltre un giornaletto. Stare impalato a guardarsi attorno è imbarazzante, soprattutto quando si incrociano gli sguardi di altri sfortunati passeggeri. I primi tempi, mi portavo della musica da ascoltare. Poi ho realizzato che c’erano dei rischi. Capita piuttosto spesso di incontrare colleghi. Se qualcuno mi avesse chiamato avrei probabilmente rischiato di non sentirlo. E poi mi avrebbero chiesto cosa ascoltavo, e avrei avuto degli imbarazzi nel giustificarmi: la musica elettronica che ascolto è associata a contesti stigmatizzati come ‘da drogati’ e pertanto poco adatti ai banchieri centrali. Allora ho deciso di lasciar perdere la musica, almeno durante il tragitto di metropolitana. Potrei sonnecchiare, come molti altri fanno, ma quando salgo sulla metropolitana, verso le otto e quarantacinque, sono sveglio già da due ore e mi sono inflitto mezz’ora di jogging al parco e una doccia, così non ho più sonno.

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Arrivato in ufficio, la prima cosa che faccio è accendere il computer e controllare la posta. Poi vado nel cucinotto a prendere un paio di bottiglie di ebbelwoi. Le bottiglie sono a nostra disposizione, ciò significa che ne possiamo prendere quante ne vogliamo senza pagare. Oltre all’ebbelwoi, si può avere Coca Cola, acqua naturale e acqua gassata. Inoltre c’è una macchinetta per il caffè. L’ebbelwoi è una bevanda tipica di Francoforte. Una specie di sidro, più aspro. Il suo tasso alcolico è basso, ma considerato che lo si beve molto velocemente, come un succo di frutta, è facile eccedere. In ogni caso, è l’unico alcolico che possiamo avere in ufficio. Almeno per quanto riguarda quelli offerti dalla banca. Comunque l’ebbelwoi mi piace e lo bevo volentieri.
Rientrando alla mia stanza con le bottiglie in mano, mi fermo a salutare Fulvia. Fulvia sta nell’ufficio accanto al mio, ed è una trainee. Sarebbe a dire una specie di stagista. Aiuta un’altra mia collega che si chiama Romana a preparare la nuova regolamentazione sui metodi di calcolo di M3 che sarà poi trasmessa alle banche centrali dei nuovi membri dell’Unione. Fulvia è arrivata due settimane fa. A pelle mi è parsa disprezzabile, e ho fatto il possibile per riuscirle antipatico.
Fulvia ha lunghi capelli ricci colorati di giallo, è molto truccata, e si veste con cura, all’ultima moda. Spesso porta degli occhiali leggermente oscurati, anche in ufficio. Avevo scorso il suo curriculum: Fulvia si è laureata in materie aziendali alla Bocconi. Forse è stato questo che ha fatto scattare la mia antipatia: cosa vuoi aspettarti da una a cui piacciono le aziende? Poi però Fulvia ha cambiato strada, ha seguito un master di taglio più economico a Londra.
Appena si è sistemata nella sua stanza sono andato a presentarmi. Dopo i consueti convenevoli, lei mi ha chiesto che cosa uno può fare a Francoforte nel tempo libero. Io le ho risposto che non sono la persona migliore a cui chiedere, e che a quanto ne so dopo aver finito di lavorare uno può o andare in giro coi colleghi in posti squallidi per stranieri oppure tornare a casa e squarciarsi il ventre con la propria spada. E ho abbozzato una risata. La cosa non sembra averla divertita. Ciononostante, il giorno dopo Fulvia mi ha chiesto se andavo a pranzo con lei e con la sua amica Renata, che lavora anche lei come trainee, ma al piano di sotto, e che ha conosciuto a Londra al master. Io le ho detto che di solito a pranzo non mangio. La mensa in effetti non è un granché. I piatti hanno tutti nomi roboanti, ma più o meno hanno tutti lo stesso sapore. Ciò è dovuto al fatto che vengono cotti al momento, su una piastra elettrica. Il sapore del grasso di maiale domina su tutto e contamina le altre pietanze, soprattutto il pesce. Fulvia allora mi ha chiesto come faccio a resistere senza mangiare, e io le ho raccontato di quella volta che, per una scommessa perduta durante una vacanza in Portogallo, ho digiunato per tre giorni consecutivi mentre i miei amici si ingozzavano davanti ai miei occhi.
Dopo un po’ ho capito che Fulvia è innocua. Contrariamente a quello che il suo aspetto suggerirebbe, è molto timida. E alla fine è anche simpatica. Ogni tanto prendiamo un tè insieme. Il livello delle nostre conversazioni comunque non scende mai troppo in profondità. Si parla prevalentemente di cosa faremo una volta che ce ne saremo andati da Francoforte. Messa così, sembrano discorsi da carcerati in fine pena. Lei vorrebbe fare il dottorato all’Istituto Universitario Europeo di Fiesole. In primo luogo perché il suo fidanzato lavora in una società finanziaria a Firenze. In secondo luogo perché è un ottimo dottorato. Mi ha chiesto se volevo tornare a Firenze. Io le ho risposto che non lo sapevo. La mia fine pena, al contrario della sua, è indefinita. E poi, da Firenze me ne ero appena andato.

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Fulvia esce prevalentemente con la sua amica Renata. Non partecipa – e forse anche questo me l’ha poi resa più simpatica – all’intensa vita mondana degli altri trainee.
Io so cosa fanno gli altri trainee perché Nuno, credendo di farmi un favore, mi ha inserito nella loro mailing list. Nuno divide la stanza con Fulvia. Quando sono arrivato, credeva che anch’io fossi un trainee, per cui mi ha inserito nella loro mailing list e mi ha invitato un paio di volte alle loro uscite. Io cortesemente ho sempre declinato questi inviti. Però ricevere i messaggi che i trainee si scambiano mi fa piacere e mi consente di avere una panoramica su quello che succede intorno a me. Il lunedì in genere ognuno sta per conto suo, a riposarsi o a gestire rapporti coi familiari, presumo. Il martedì è il giorno del post-work party. Sarebbe una specie di aperitivo con musica in qualche locale alla moda. Il mercoledì cinema. Il giovedì di nuovo post-work party al Living XXL, al piano interrato della banca. Il venerdì sera discoteca, in uno di quei posti con la selezione all’ingresso. Il sabato shopping in centro e poi cena in uno dei loro appartamenti nel grattacielo di Ostend. Sembra che, in primavera e in estate, si facciano dei barbecue sulla terrazza del palazzo dove vivono. La domenica, per finire, gita fuori porta.
Nuno non è più un trainee ma continua ad animare la loro mailing list (e a dividere la stanza con Fulvia). Nuno non è più un trainee perché ha avuto un contratto di consulenza. Per pagare meno tasse, ha fondato una società di consulenza con sede a Madeira. Dice che così guadagna il 20% in più di quando faceva il trainee. Non essendo più un trainee, Nuno non ha più diritto ad abitare nel grattacielo di Ostend e si è preso un bilocale a Sachsenhausen. Immagino che nei suoi calcoli abbia tenuto conto di questo. Non essendo più un trainee, Nuno non ha in teoria più il diritto a servirsi di bottiglie nel cucinotto. Non so se nei suoi calcoli ne ha tenuto conto. In ogni caso, quando arriva, verso le 10, spesso si ferma da me e mi chiede se gli posso prendere un paio di bottiglie di Coca Cola.

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Se si escludono i trainee, la maggior parte dei miei colleghi ha tra i cinque e i dieci anni più di me. Solo pochi di loro, e comunque di rado, partecipano alle attività dei trainee. Alcuni hanno figli piccoli, nel tempo libero si dedicano a loro. Una larga maggioranza si dedica alle attività culturali. Per attività culturali si intende teatro di prosa e d’opera, ballo e cinema d’essai. Sembra che Francoforte sia una città con un vivace panorama culturale. Lo si deduce dal fatto che ci sono mostre di arte moderna e fotografia, una nutrita stagione lirica e numerosi festival cinematografici, tra cui quello del cinema gay e quello del cinema mediorientale.
Molti dei miei colleghi partecipano attivamente a questa vita culturale e si scambiano pareri e commenti sulle rappresentazioni. Esiste in effetti un gruppo di dipendenti che si riunisce ogni martedì sera per presentare gli eventi culturali della settimana successiva e commentare quelli della settimana passata.
Il dipartimento risorse umane incoraggia la formazione di gruppi di dipendenti. La maggior parte dei gruppi però è di matrice sportiva. Molti di questi gruppi partecipano a tornei con le squadre delle altre banche della città. Pare che la squadra di calcio giochi benino.
Io alle volte vado al cinema oppure all’opera con alcuni colleghi, ma partecipo di rado alle discussioni e ai commenti che seguono le rappresentazioni. Principalmente perché non avrei molto da dire. Similmente, non sento gran bisogno di fare sport in compagnia, andare a correre al parco la mattina mi sembra più che sufficiente.

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Ieri mi ha scritto Ivan. Devo ancora rispondergli. Ivan è un mio amico di Grosseto. Ha studiato prima a Firenze e poi a San Diego, e adesso lavora alla Banca d’Italia. Ma non è molto contento della sua sistemazione: nel suo ufficio c’è un unico computer connesso a internet, e sono in otto a doverselo dividere. Inoltre, la sua occupazione attuale ha a che vedere con questioni piuttosto noiose che riguardano il bilancio aggregato del sistema bancario. Allora, magari con l’idea di farsi mandare in distaccamento alla BCE, mi ha chiesto com’è la qualità della vita a Francoforte. Io ci ho pensato un po’ e mi sono reso conto di non avere le idee chiare sul concetto di qualità della vita. La prima cosa che mi è venuta in mente è stata un gioco per l’Amiga che si chiamava “Utopia”. Lo scopo del gioco era quello di costruire una colonia spaziale. Un apposito indicatore, sempre visibile in alto a destra, misurava la qualità della vita su una scala da uno a cento. Quando la qualità della vita saliva sopra il 90% lampeggiava la scritta “UTOPIA”, forse a significare che una così elevata qualità della vita è utopica. Nel gioco, la qualità della vita poteva aumentare temporaneamente grazie agli eventi sportivi, ma il suo valore di lungo periodo dipendeva dalla corretta organizzazione della colonia in termini di servizi e spazi disponibili. Un ruolo determinante era giocato dal fatto che non vi fossero attacchi degli alieni e che, in caso, gli insediamenti fossero ben difesi. Ma questo non mi sembrava pertinente alla richiesta di Ivan.
Allora sono andato nell’ufficio dello Staff Committee. Lo Staff Committee è una specie di sindacato dei dipendenti. Solo che invece che essere tappezzato di bandiere rosse e di foto di cortei, le pareti del loro ufficio fanno mostra di facce sorridenti e opuscoli informativi sulle opportunità che offre la banca per rendere più piacevole il soggiorno dei propri dipendenti in una città straniera. Ho preso un pieghevole con su scritto “Quality of life in Frankfurt”. Sulla copertina ci sono volti sorridenti, madri con bambini, uomini che corrono sul lungofiume. A leggere il pieghevole, sembrerebbe che l’alto livello di qualità della vita offerto dalla città sia in larga parte determinato dalla presenza di parchi, dall’efficienza del trasporto pubblico, dalla qualità degli asili e dalle opportunità sportive e culturali.
Poco convinto, quando sono rientrato in ufficio ho cercato “quality of life” con Google. È saltata fuori la pagina di una pubblicazione scientifica, Quality of life research. È edita dalla Kluwer, quindi dovrebbe essere una rivista di buon livello. Ho scorso i titoli degli articoli. La maggior parte trattano di cure palliative per i malati terminali.

Floor twelve, doors opening
Salgo in ufficio. Dopo aver preso un paio di bottiglie di ebbelwoi, risponderò a Ivan.

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