Giovani di buona volontà

Tre quarti d’ora dopo si viene a sapere che un tizio è saltato sui binari alla stazione di Chiari e che il treno precedente gli è passato sopra e lo ha spappolato.

Il ragazzo del 17 A smette di cercare di catturare il magikarp apparso al di là del finestrino e dopo aver formulato un porcamadonna che rimane dentro la sua testa si domanda a quale scopo fermare il traffico ferroviario se ormai il tizio è bello che andato; poi sente la sciura dal sedile davanti informare il marito – che non la sta ascoltando – che a detta del capotreno i vigili del fuoco stanno cercando di rimuovere il cadavere e che l’operazione, come si può intuire, non è proprio facilina. Il ragazzo sbadiglia in quel modo rumoroso in cui ha preso l’abitudine di manifestare la sua noia esistenziale, ma quando si accorge che quello di fianco non è suo padre bensì un qualsiasi pendolare dall’aria molto scontenta della vita, che ha interrotto la sua telefonata di lavoro per lanciargli un’occhiataccia e accertarsi che indossi la sua mascherina, richiude la bocca di scatto e si rimangia l’aria umida in un moto di imbarazzo. Conta le salviette umidificate traboccanti dal posacenere e considera l’idea di scrivere a sua madre, prima di lasciarsi distrarre da un ritmo immaginario che inizia a battere coi piedi e che sceglie di seguire ticchettando sulle cosce con le mani. Quando ritorna all’istante presente recupera il telefono per aggiornarsi sulle operazioni di rimozione del cadavere tramite l’app di Trenord, ma non trova notizie utili sull’orario previsto per la ripartenza del treno così sfrutta la pausa forzata per scrivere una recensione a una stella per un rivenditore di strumenti musicali online. Quando lo schermo del telefonino viene invaso da una raffica di notifiche WhatsApp firmate “madre” ha quasi terminato il preambolo utile a spiegare per quale ragione non gli era proprio possibile andare di persona in un negozio reale, cosa che ci tiene a fare perché non è certo il tipo che ignora il problema di supportare il commercio locale, e sia chiaro che non ha alcuna intenzione di alimentare il sistema di e-commerce promosso dalle multinazionali, con tutto il peso degli imballaggi e dello sfruttamento dei corrieri che gli si scarica sulla coscienza, ma i commessi degli empori musicali non gli lasciano altra scelta essendo affetti da una forma di scortesia congenita che a quanto pare gli impedisce di servire chi non dia mostra di volersi alleggerire di qualche centinaia di euro, e lui è solo uno spiantato lavapiatti, la chitarra doveva servirgli a scacciare i pensieri, non ha mica aspirazioni da Eric Clapton, lui. Mentre le notifiche continuano a rincorrersi apre la fotocamera per inquadrarsi nella cornice di un selfie che fissa su Instagram con il tag #cambiovita e una serie di GIF di animaletti saltellanti attorno alla sua faccia, e nessun accenno al fatto che è bloccato da più di un’ora e mezza tra due stazioni ferroviarie di passaggio in tutto identiche tra loro. Sistema meglio la schiena sul sedile igienizzato e a questo punto – è almeno la ventesima notifica, intervallata da svariati tentativi di videochiamata – apre la posta e inizia a scrivere una e-mail.

Ciao mamma, oggi non posso venire al lavoro perché sono partito. Sto andando in Piemonte da Elio e Germana, che hanno scelto di mollare il lavoro e lo stress della città per vivere in maniera sostenibile e a contatto con la natura. Per questo gli hanno dato in concessione un casale in campagna da usare come base per un eco-villaggio. Tra le parole chiave dell’annuncio c’erano permacultura, consumo critico e autoproduzione e questo significa che si faranno da soli tutto quello che gli serve per campare. Mi dispiace di non averti dato un preavviso, ma tanto lo so che mi facevi lavorare solo per tirarmi fuori dalla mia stanza e che al ristorante non ho mai avuto uno straccio di prospettive di crescita. Ma io ho delle aspirazioni, mamma, voglio cambiare il mondo, e non posso farlo se sono continuamente impegnato a lavare i piatti per te. Non puoi fermarmi come hai fatto quando volevo andare a Berlino, perché ho comprato da solo il biglietto del treno e ho rimandato indietro la chitarra in modo da avere i soldi necessari a inserirmi nel progetto. Elio verrà a prendermi in stazione – dice che lo riconoscerò all’istante, perché sta sperimentando una dieta a base solo di carote che gli ha modificato un po’ il colore della pelle – appena legge i miei messaggi, che faticano a raggiungerlo perché in quelle zone lì in mezzo alle montagne il telefono non prende. Intanto colgo l’ultima occasione per scriverti e per dirti queste cose che non sarei riuscito a dirti a voce, perché avresti iniziato a gridare e a domandarmi che cosa hai fatto di male, come durante il lockdown, quando eravamo sempre in casa insieme eppure non mi hai mai voluto ascoltare, tutta presa com’eri a preoccuparti per la situazione e pensare a quando avresti potuto riaprire il locale. Probabilmente non ci sentiremo per un po’ ma non devi preoccuparti perché starò bene. Salutami papà e digli di occuparsi lui del cane.

«Sono stata così fortunata» dice Valeria Fratta, che si è appena trasferita in città. «Questa casa è un amore».
«Dillo ancora una volta e mi verrà il mal di testa».
Valeria ha spinto il tavolino al centro della stanza e lo ha chiuso a metà per consentire all’amica di attraversare il salotto. Indossa un abito da casa di flanella che la fa sembrare ancora più vecchia. «Se hai bisogno del bagno» dice, «la porta scompare dentro il muro. Vedi? Hanno montato una porta a scorrimento per ottimizzare lo spazio».
«Certo che qui dentro ci vorrebbe una finestra».
«È vero, ma c’è una ventola in alto vicino al soffitto. E funziona perfettamente».
«Ci credo» concede l’altra. «Per la cifra che hai sborsato non potevamo aspettarci di meglio. Certo, se penso che al borgo avresti avuto cinque stanze anziché due…»
«E c’è la fermata del bus proprio qua davanti» dice Valeria indicando l’uscita.
L’amica sospira. «Ma sì, ma sì, sei stata fin troppo da sola nell’ultimo anno, ti farà bene un po’ di movimento. Anche se io non riuscirei a vivere con tutto questo traffico davanti alle finestre».
«E gli elettrodomestici sono tutti nuovi. Pure questo televisore, che a dirla tutta è fin troppo grosso per me».
«Ah, se fosse casa mia non ci sarebbe alcun televisore. Sai come la penso».
«A me fa piacere guardare Forum, ogni tanto» dice Valeria nascondendo l’imbarazzo. «Ma non ho certo bisogno di un apparecchio così grosso».
«Puoi sempre venderlo e acquistarne uno più piccolo… e pure farti una vacanza con il gruppo della Croce Rossa. Vuoi che una roba del genere non costi cinque o seicento euro?»
«Ma non saprei proprio a chi darlo, sai che non sono buona a fare affari. Con questo posto ho avuto una fortuna…»
L’altra donna strizza gli occhi e si riabbottona il cappotto, poi con cinque passi svelti raggiunge la porta blindata. «Proverò a chiedere in giro, vedo se trovo qualcuno che sia interessato. Ora devo proprio andare».
Rimasta sola, Valeria nota che alla fermata del bus c’è un hippie dall’incarnato arancione – «arancione, sì, proprio come un mandarino» dirà tra qualche giorno raccontando questa storia – intento a caricarsi in spalla i componenti di un lavello abbandonato. Quando la vede si ferma di colpo e, rovesciando uno sguardo malinconico su rubinetti, catenelle e piedini sparsi sopra il marciapiedi, dice: «Buongiorno, signora, non avrebbe una busta della spesa?»
Valeria ha una lieve esitazione, poi dice: «Non so, aspetti qui».
Rientra in casa e trova una sporta in polipropilene blu che poco dopo porge al giovanotto. Lui la prende e storcendo un po’ il naso ci infila dentro i pezzi di metallo arrugginiti.
«Non ne aveva una in tessuto?» chiede.
«Ma non riuscirebbe mica a farci entrare tutto. Questa è la più grande che ho».
«Va bene, va bene, me la può lasciare?»
«Io… sì, la tenga pure». Fa per richiudere la porta. «Arrivederci».
Il tizio la blocca prima che possa rientrare, scattando in avanti per fermarsi con un piede sulla soglia. «Aspetti, signora, è stata molto gentile. Non avrebbe qualcos’altro? Che so, un vecchio cellulare… anche rotto».
«Ho solo il mio, mi spiace».
«Qualcosa che invece non le serve? Mi va bene tutto».
«Io… avrei questo televisore». Glielo indica perché dal marciapiedi lui ora può vedere tutto il suo salotto.
«Sarebbe magnifico, guardi, glielo prendo senz’altro. Ma non le posso dare molti soldi».
«Non molti quanto?»
«Cento euro».
«È un po’ poco. La mia amica mi ha detto… ma d’altronde non saprei proprio a chi darlo. Vede, c’era una coppia di sposini che abitava qui prima di me. Mi è dispiaciuto tanto per quei poveri ragazzi, così bravi ed educati, così pieni di speranze… ma poi la quarantena… qui non c’è molto spazio, e non c’è neanche un balcone… non hanno retto, capisce?»
«Brutta storia, signora, non sa come la capisco».
«Che pena che mi ha fatto soprattutto quella poverina. Lui se ne era già andato, ma lei… Tanta fatica per sistemare questo posto, e poi aveva così fretta di andarsene che ha lasciato qua tutto».
«Non si dia troppa pena, signora. Sono tempi duri per tutti, ma guardi che le cose cambieranno. I nostri ragazzi sono stufi di piegarsi alle logiche disumanizzanti del vivere moderno e stanno iniziando a cercare soluzioni alternative».
«Lei dice?»
«Lo so per certo. So di giovani di buona volontà che sono disposti a lottare per costruire un futuro migliore».
«Oddio, lo spero proprio, sa. Mica per me, io ormai sono vecchia, che vuole che mi importi. Ma quei poveri ragazzi… se lei li può aiutare… ha detto cento euro?»
«Per il televisore? Sì».
«Va bene, lo prenda pure».
«E però guardi che i soldi con me non li ho».
«Come?»
«Se si fida, li vado a prendere subito. Mi lasci il tempo di portare il televisore a casa, poi devo andare a prendere un amico alla stazione. Ma lui ha dei soldi per me e quando me li avrà dati torneremo qui insieme a portarglieli. Così vedrà uno di quei bravi giovani di cui le parlavo».
«Ma a che ora? Perché nel pomeriggio devo uscire».
«Mi dica lei a che ora posso ritornare».
«Per le quattro?»
«Va bene, signora, ci rivediamo alle quattro».
«Ma è sicuro che torna? Perché non vorrei aspettarla per niente, che poi faccio tardi…»
«Guardi, le lascio il mio lavello come garanzia».
«No, no, mioddio, lasci stare, non saprei proprio dove…»
«Glielo metto qui, così sta tranquilla perché poi devo tornare a riprenderlo». Scarica ferraglia e busta della spesa tra il gradino d’ingresso e il divano, poi stacca le spine del televisore e si issa l’intero apparecchio in bilico sopra una spalla. «Allora ci vediamo più tardi, signora. È stata davvero gentile, non sa quanto il suo contributo sia fondamentale per il nostro progetto di un mondo migliore».
Valeria lo guarda allontanarsi scendendo la strada e prima di richiudere la porta pensa a un modo per giustificare l’accaduto. «Povero cristo – si immagina dire agli amici – sapevo che non lo avrei rivisto, e che non avrei visto quei soldi, ma era così malconcio… e quel colorito malsano… E comunque che me ne facevo, io, di quel televisore?»

Tre ore e mezza dopo il treno è finalmente ripartito. Elio recupera i messaggi di LILLO84 e sorride al pensiero che sta per introdurre il primo membro volontario nel suo nascente gruppo di condivisione. Se sapesse che il ritardo è dovuto al suicidio di un operaio quarantenne in cassa integrazione vedrebbe in questo incidente un presagio nefasto e dopo aver rispedito LILLO84 al ristorante della madre riporterebbe subito il televisore a quella brava donna. Ma Elio non segue i notiziari, perché su al casale il telefono non prende e fino a questo momento non aveva mai avuto neanche un televisore. Resta in attesa del ragazzo con i soldi e si sente eccitato all’idea di presentarlo alla signora. Pensa che il mondo sia ancora un bel posto, degno di essere salvato. Pensa a come sarà bello, dopo più di un anno e mezzo passati a toccare solamente la pelle inflaccidita di Germana, fare l’amore anche con un’altra persona.

*

Ho rintracciato alcuni elementi comuni a racconti di autori che allinterno della bolla vanno per la maggiore e li ho ridotti a: 1) la presenza di un elemento assurdo o grottesco e 2) una struttura in cui una situazione iniziale serve da pretesto per introdurre lazione reale, la quale va in tuttaltra direzione. Poi ho scelto come base strutturale un racconto di un grande autore immortale su cui la critica è pressoché unanime – Un giorno ideale per i pescibanana di J.D. Salinger – e ne ho adottato la struttura tripartita. A capo doveva trovarsi una scena che servisse a introdurre il contesto; nella sezione centrale il dialogo con la madre, che qui è diventato un monologo via e-mail, doveva invece introdurre il protagonista attraverso un personaggio secondario, gettandogli addosso un alone di rischio; infine, occorreva mettere in scena una situazione in cui il lettore vedesse agire il protagonista stesso e, carico di una particolare aspettativa, si trovasse a temere per le sorti di un terzo personaggio, ancora più indifeso del primo, per arrivare a una soluzione finale coerente con il rischio presentato ma assai diversa da quanto immaginato.

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