Il primo dell’anno ho chiamato i miei

Il primo dell’anno dovevo telefonare ai miei. A cinquant’anni e mezza Italia di distanza li chiamo ancora così, come si usa a Roma. Dalla finestra uno scorcio di montagne. Tutto era bicromatico. La luce di un sole disperso, inquieta e indefinibile.

Avevo acceso la radio prima di iniziare lo yoga. L’avevo fatto perché mi andava. Non sono un tipo a cui di solito va di fare qualcosa. C’era il concerto di capodanno, la Wiener Philharmoniker. Mi sono fermato ad ascoltare le prime note. Mi sentivo felice e la cosa mi ha sorpreso.

Ruotando la schiena a gambe divaricate ascoltavo le mie contratture. Non ricordavo un momento della mia vita senza qualche tensione muscolare né una vera sensazione di felicità. Nemmeno da bambino, a casa con i miei. Il primo giorno dell’anno era sempre stato più un fastidio, la luce del sole mi rendeva insofferente, i muscoli infrascapolari intorpiditi mi deprimevano, il cielo che sembrava vuoto di tutto mi toglieva ogni entusiasmo dell’inizio. Ora, invece, delle stesse cose ero felice. Anche i piegamenti a pinza, fronte alle tibie, che mi ricordavano che non sono mai riuscito a toccarmi la punta dei piedi, non scalfivano la mia sensazione di gioia (ma davvero?).

Mi sono detto: chiamo i miei. Sì, gli racconto che c’è un bel sole, fa freddo, magari andrò a sciare, cose semplici. Gli avrei ricordato che c’era il concerto alla radio. Gli piace tanto.

Già mentre componevo il numero mi stava passando l’entusiasmo. Stavo per riagganciare quando hanno risposto. Mio padre: voce stentorea e festosa, sempre. Dopo un po’ mi ha salutato mia madre come di soppiatto (usano il vivavoce e lei ha questa sua tecnica). Tenta una voce gioiosa, ma al solito ha una vaga tristezza. Con i miei al telefono va sempre allo stesso modo. Quel giorno no.

La signora Losasso, Franca, dice mio padre. Te la ricordi?, aggiunge mia madre che è sovreccitata e prosegue: papà, papà – le manca il fiato – è stato due ore due, ieri sera giù al piano terra ad aiutare il marito. Era caduta dal letto.

Si alternano a raccontare.

È in salotto ora. Alzheimer. Senza sponde. Stava lì in ginocchio, non si alzava e non riuscivamo ad alzarla. Allora abbiamo chiamato Francesco, te lo ricordi? Intanto avevo preparato un’imbracatura con le lenzuola.

Fanno una pausa, sembrano incerti su chi debba proseguire.

Eh, papà lo sai, non si perde d’animo, dice mia madre. Poi in tre l’abbiamo sollevata, riprendono il ritmo alternandosi. E l’hanno pure cambiata. Dovevi vedere le piaghe sulla schiena. Ho detto al signor Losasso: Mauro ma santo cielo! Non sapeva che fare, spostava cose, andava in cucina, si trascinava. Sì, poi la sostituta della badante, papà dice che. Guarda giusto nelle casette quelle lì. E i figli?, due maschi e se ne sono andati tutti e due. Comunque l’abbiamo sistemata e sono tornato su da mamma che aveva preparato le capesante. Siamo stati da soli. È meglio ora. È stata una bella vigilia.

Ho chiamato i miei il primo dell’anno. Questo è quello che mi hanno detto più o meno. Poi ci siamo salutati, in qualche modo. Fuori la luce del sole era esplosa: ecco cos’era: una deflagrazione che stava per raggiungere tutto.

1 Reply to “Il primo dell’anno ho chiamato i miei“

  1. Un racconto lunare, che rende attraverso brevi squarci di luce e impressioni le atmosfere delle emozioni.

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