Il punto è che non gliel’hanno chiesto.
Non le hanno dato il tempo per pensarci, magari avrebbe detto di no. Forse avrebbe preferito aspettare, fare come quella signora del paese, quando era piccola non si parlava d’altro. Quella signora che un giorno decise che aveva fatto tutto quello che doveva fare, gli anni li aveva contati e si era messa a letto ad aspettare la morte. Tutte le donne del paese l’andavano a trovare, le portavano da mangiare, ma quella non voleva né cibo né chiacchiere. Così avevano aspettato tutti che la morte arrivasse.
Le sarebbe piaciuto fare così, pure lei li ha contati gli anni, qualcuno se l’è anche perso, chissà dove. Invece hanno deciso loro, le hanno tolto tutto mentre lei dormiva. Il medico non si è nemmeno fermato a spiegarle qualcosa, a lei che è una vecchia tutta ossa e morfina, deve solo sapere è stato un lavoro ben fatto.
La moglie del nipote, il giorno delle dimissioni, si presenta in camera sua, una valigia tintinnante pronta con le sue cose; le chiede se è contenta che adesso non ha più niente.
«Ma hanno tolto proprio tutto?»
La donna la guarda pallida di stupore, unisce gli indici e i pollici, li sospende a mezz’aria e le dice che le hanno trovato un buco grosso così, non si poteva fare altrimenti, che non ci pensasse più, che tanto, alla sua età, che se ne fa oramai. Non l’ha mai usata, in fondo. Ridacchia un po’, persino.
Non fa che parlare, è rumorosa la moglie del nipote, le piacerà di certo la loro casa, c’è anche un giardino in cui prendere il sole, o mettersi all’ombra, come preferisce. È piena di gingilli che si urtano, stridono, e le sue parole sembrano unghie che le graffiano il cranio.
In casa ha una stanza tutta sua, con una finestra enorme, e poi quei figli del nipote che se ne stanno dietro la porta, a fissare la zia del paese a cui l’hanno tolta perché tanto lei non l’ha mai usata, uomini non ne ha voluti.
Le hanno riservato un posto a capotavola, le riempiono il piatto, le chiedono se le piace, se ne vuole di più, ma lei rivuole solo quello che le hanno levato. Il nipote ride e tira su col naso, come se la riacchiappasse al volo quella risata grassa e grattata. Dice che è proprio vero che si desidera quello che si perde e che non si desse tanta pena, alla sua età non credeva che ci si ricordasse di averne una.
Pure sua madre glielo diceva che se avesse rifiutato tutti gli uomini le sarebbe diventata arida come sabbia, che a lasciarle inutilizzate, le cose, si rovinano. Aveva tutti gli occhi del paese fissi su di lei, quella che non accettava manco un uomo, che era sgarbata. Tutti quegli occhi che si muovevano verso di lei seguendo il tracciato delle parole di sua madre, che non si fanno i figli da vecchi, sennò vengono storti. E lei pareva davvero nata storta, come se fosse già vecchia, con quella schiena curva, le mani che tremavano, le parole dimenticate in fondo allo stomaco. Si chiedeva come sarebbe stato il paese se gli occhi fossero rotolati via dalle loro facce, una lunga corrente di occhi che scivolava lontano, per darle il tempo di indovinare che cosa ci fosse tanto da fissare.
La notte rimane sveglia e desidera far seccare la lingua di quella moglie, strappare dal naso del nipote le sue grassocce risate. Tutto in quella stanza è illuminato, la luce entra direttamente dalla finestra sul suo letto, e lei non riesce a sopportarlo, si sente come se fosse sotto lo sguardo di chi è pronto a svegliarsi. Ricorda la sua, di casa, in cui poteva rimanere al buio per giorni interi: chiudeva la porta, le tende e le persiane, tappava i buchi delle serrature; ma gli occhi continuavano a insinuarsi fra gli spifferi, i sussurri, persino il buio era fatto solo di pupille. L’unica cosa a essere scivolata via erano gli anni.
«Ma come ha fatto in quella casa tutti quegli anni non si sa» borbottano il nipote e la moglie, come se non avessero altro da fare in quelle stanze troppo aperte, più che muri sembrano bocche che si passano di denti in denti lo stesso messaggio: che a lei non bisogna chiedere il permesso per essere guardata da dentro, che lo sanno loro quello che non le serve più.
Ci pensa stesa a letto, trema perché l’hanno vista, mentre lei non sa come sia fatta. Si alza, prende lo specchietto che le hanno lasciato sul comodino. Solleva la camicia da notte e guarda prima le lunghe cicatrici come crepe che partono dall’ombelico e poi, sotto, la fessura da cui l’hanno spiata. Cerca di intravedere il vuoto che hanno lasciato.
Forse avrebbero fatto meglio ad aprirle la pancia e tirare fuori tutte le parole che dalla gola le erano cadute, per poter dire che era femmina pure lei, ed era colpa di tutte quelle facce che la fissavano se lo aveva dimenticato.
Posa lo specchio e chiude gli occhi, che non sopporta più nemmeno i suoi, e si copre con le mani le cicatrici, per il pudore di ciò che non ha più. Si tocca la pelle che cola piano dalle ossa, il ventre, le scapole, le orecchie, le ginocchia. I piedi solleticano il pavimento freddo, serra le palpebre per non avere più spiragli. Si impara a memoria, gira su stessa, sente scricchiolare il suo corpo, i muscoli avvizziti si sgretolano, e lei si riconosce, si spoglia di tutte quelle pupille e si accorge che mai è stata vista. Si muove in tondo alla stanza, fino a quando non si è ricordata tutta e i muri rimangono muti.
Il mattino dopo, uno dei figli del nipote le punta l’indice e annuncia che la zia ha ballato nuda di notte, lui l’ha vista. E le ore fanno il rumore delle valigie che cadono dagli armadi con un tonfo, le telefonate alla clinica più vicina, e la promessa di essere sempre sotto osservazione, da ora in poi. L’hanno messa seduta in un angolo, che non si muovesse, pensano a tutto loro, sbirciano di tanto in tanto per assicurarsi che sia ancora lì, e lei realizza che oramai tutto quello che doveva fare era stato fatto.
Si fa spazio fra il trambusto delle valigie e della scoperta dell’indecenza, esce in giardino e inizia a scavare. Scava con le sue mani da vecchia, si rompe le unghie, le fanno male le ossa, strappa l’erba e a poco a poco sprofonda nella terra. In casa li sente che preparano le sue cose, li immagina mentre prendono i suoi vestiti, svuotano la sua stanza, decidono ancora una volta per lei.
Si abbandona alla terra umida e nera, si sente chiamare da dentro casa, le sembra incredibile che si accorgano solo ora che è sparita. I muri riecheggiano di panico, la voce stridula della moglie annaspa nella sua assenza e più ascolta il suo nome, più affonda il viso nella terra. Adesso può restare ad aspettare, che non ci sono più fessure da cui essere guardati.
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