Paris-la-Morte

Nell’ultimo messaggio (sabato, 20:00) la parola Parigi non compariva.

C’è tutto ciò di cui ha bisogno nella stanza trovata all’ultimo momento su una piattaforma di alloggi a basso costo: una gruccia per il suo vestito di raso verde con bretelle sottili, un tappeto per la doccia, dei sacchetti di plastica per alimenti, una moka, un coltello a lama fissa, un cassetto con un doppiofondo, una tenda scura per soffocare la luce del giorno. Scopre che l’alba ha modi di penetrarla che non osservano necessariamente le leggi dei corpi celesti: il risveglio è accompagnato dai primi rumori della strada e dai suoi presentimenti – quando i nervi lasciano modo ai sensi di generare effetti sulle sue abitudini.
Esce dalla stanza verso mezzogiorno e tutti la vedono: così, intenta a rispondere ai saluti, le viene più facile fingere che si stia riprendendo. La buona educazione non ha mezzi per fallire e la si può rispettare anche senza pensarci, come una sorta di moto involontario della bocca, se ridi, e degli occhi, se li allarghi. La signora della frutta le ha detto, Ci sono passata anche io, non è facile superare un lutto. Ma lei non aveva mai parlato di morte ed è spaventata perché forse un’ombra, senza di lui, le è già comparsa sul volto.

Nel penultimo messaggio (venerdì, 00:45) la parola Parigi era comparsa in un polisindeto: E sappi che se sei lì non ha senso, e pensarti a Parigi mi fa ricominciare daccapo, e non credere che ti sarà sempre concessa esattamente la quantità di libertà da te richiesta, e non ti aspetterò per rivedere il film, il passaggio in cui lui cade, per capire se si è trattato di un incidente.

I messaggi arrivano senza sonoro, solo il display si illumina e così, nei luoghi assolati, non può accorgersi delle notifiche; il che può generare lunghe pause da una lettura all’altra e a volte perde la consequenzialità del discorso. Le soluzioni frammentarie però sono le più compiute perché richiedono uno sforzo da parte di chi deve ricostruirle; sforzo che lei non è disposta a compiere, dal momento che non vuole trovare argomenti per difendersi. Al massimo può provare – in un monologo – a delineare uno schema dei suoi sentimenti (o dei fatti?) per cogliere il momento esatto in cui una costruzione inizia a essere chiamata rovina: non è più frequentata?, è franata per metà?, un terzo?, e nessuno sente il bisogno di restaurarla.

(lunedì, 13:40). La parola Parigi è scritta in mezzo a momento e dove: Non penso che sia una buona idea passare questo momento a Parigi, dove l’ultima volta, ricordi?, invertivi i sensi della metropolitana e ti spacciavi per una artista. Aspettavi sotto casa una donna che era guarita per chiederle consigli.

Non ricorda, sono passati dieci anni. O meglio, non ricorda con intensità. Vorrebbe tanto perdersi nei dettagli, tornare a comprendere perché certi avvenimenti nel suo stato avessero avuto allora una forza così taumaturgica da restituire concretezza a quelli che erano solo riflessi delle cose. In rue Olivier-de-Serres stava solo provando a liberarsi dei ritornelli nella testa. La cartografia servì a lui per orientarsi.
(Ora invece, nel silenzio, lui, per sapere che è a suo modo presente e animata, si orienta con i like che lei mette alla pagina ufficiale del loro rapper preferito).

Ricorda però che, quando arrivò per riportarla a casa, per prima cosa le chiese se sapeva che Parigi è la città della luce. Alla fine del 1870 fu la prima a passare con maggiore velocità dal sistema pubblico di illuminazione a gas all’installazione delle lampadine elettriche. Durante la Exposition Internationale d’Électricité nel 1881 l’eccitazione della gente, di quella ricca e miserabile allo stesso modo, sembrò rievocare l’ideale di uguaglianza e fraternità – la percentuale dei crimini si abbassò – e per l’occasione venne composto il Valzer delle lampadine. Ricorda anche che l’anno scorso, una sera, provarono a cercarlo in rete, ma di quello vecchio non vi era traccia. Il risultato consisteva in un valzer con lo stesso nome uscito quell’anno. Nel video c’erano delle giostre a carillon immerse in una luce soffusa e presero a roteare anche loro. Separatamente. Pieni di sonno.
Le ultime lampade a gas rimasero al loro posto fino al 1962 prima di essere dismesse.

(giovedì, 15:28). Il nome della città veniva usato in una sorta di metonimia che alludeva alle necrosi che in lei comparivano al culmine di uno stato euforico: Credevo ti fossi lasciata alle spalle Parigi.

Poi con disperazione recuperava confessioni: Più di tutti ti fece soffrire l’uomo che ti parlava di futuro mentre facevate l’amore. Cercavi l’anonimato, ma quando a lavoro sei stata sostituita in un giorno, hai iniziato a lamentarti con battute volgari di non essere nessuno.
Per fidarsi sarebbe stato necessario esibire dei reperti, ma entrambi non avevano che parole – la foto, ad esempio, era una: quella scattata al Bois de Boulogne. Senza prove le frasi restavano solo interferenze che rimandavano a vuote performance.
Oggi indossa un vestito nero, le macchie si camuffano. Si aggira in una profumeria tra gli scaffali di tester di fondotinta colato e acidi esfolianti AHA. Ha il passo lento, ma solo perché non ha dormito bene e non ha bisogno di alcun prodotto; il vigilante deve aver sospettato che sia una ladra.
All’epoca, quando si rincontrarono a Parigi, lui fece di tutto per farle comprendere che la sua lotta non era nuova, Sono sicuro che anche tu, a un certo punto, durante la tua infanzia hai pensato che il mondo fosse un posto facile da abitare e hai tentato di abbandonare i tuoi genitori. Come andò a finire? Io fui riacciuffato nel giro di due ore.
Il qāt, un’erba che usano sul versante orientale dell’Africa, ha tempi che non sono i nostri. Si prende quando il morale è basso e si deve cantare per trasformare il campo di lavoro in una casa. Si partecipa alla raccolta anche per guadagnare migliaia di birr che servono per il viaggio verso l’Europa. Tu credi di sapere, di essere l’unica, ma tutti danno il massimo per scappare. Escogitare piani per rimediare quel che resta della fortuna.

(sabato, 23:11). Questa volta non verrò a cercarti.

Inizia sempre a vedere altra gente per nascondere lo schifo che si fa. Non c’è nulla di più autoritario delle regole autoimposte. Perché non c’è niente di più sproporzionato del nostro ego. Vorrebbe sacrificarlo se solo le fosse dedicata una statua, una di quelle poggiate su un ampio piedistallo dove ai barboni è proibito dormire.
A volte mente, ma non può essere considerata una bugiarda; il passato si dirama. Il suo appare direttamente negli occhi, come quello collettivo che si vede nei documentari in una sequenza cinetica di immagini che gira senza passare dalla memoria.

Il passato si può congelare e poi torna a nascere senza concepimento.
Molly è nata a ottobre scorso e con la sua nascita ha stabilito due record: è la prima a venire alla luce da un embrione congelato ben ventisette anni fa e ha superato il record della sorella Emma, che deteneva il primato dei ventiquattro anni di congelazione. La conservazione in azoto liquido è vicina allo zero assoluto, per l’esattezza a -195 gradi, e a quella temperatura le attività degenerative della cellula si fermano, rimane soltanto una mobilità cellulare molto limitata che fa sì che la cellula rimanga viva.

Il passato è sfigurato da abitudini difficili da sradicare.
Si prende cura di un cane da quando la proprietaria è morta. Non può più leggere giornali, se non in digitale, perché la donna rivestiva con fogli di quotidiani e riviste il pezzo di pavimento dove all’animale era permesso fare i bisogni. Ora, appena ne vede uno, ci piscia sopra.

Una lettera mancante che non fa la differenza.
La moglie prendeva in giro il marito: Da manovale di don Ciro a operaio alla Cirio, sempre schiavo sei.

Un aneddoto che ti sembra di aver vissuto: durante il colpo di stato del 1991 in Unione Sovietica le trasmissioni nazionali sono state interrotte e si mandava in onda per ore e ore solo l’opera di danza classica Swan Lake. Ai bambini piaceva. Tutto si ripeteva da sé, come per ordine di un dio che aveva deciso di manifestarsi attraverso i tubi catodici.

Non vuole mendicare ricordi di ciò che era accaduto nella città della luce, anche se questo vuol dire vivere una relazione senza cause. Il richiamo di lui, ora, mal si concilia con la sua voglia di restarsene in quella stanza – non aveva ancora avuto l’occasione di indossare il vestito verde –, dove scambia di posto gli oggetti con leggerezza. Ma ha già preso il biglietto di ritorno. Pensa che non sia esatto definire il passato come un tempo fantasma. E pensa che il presente sia un tempo che non esiste. Sarà per questo strano gioco di incroci e rimandi che le parole più frequenti, come avevano letto su quel dizionario di retorica, sono polisemiche.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *