Gli Eventi

Subito dopo l’ennesimo Evento, Rachele si era buttata a capofitto in una serie di attività – non tutte di suo gradimento, ma l’esperienza le aveva insegnato a non perdere tempo, che nella vita ce n’era poco ed era importante provare cose nuove, e che forse il tempo libero che aveva a disposizione lo doveva considerare come un regalo che le veniva offerto e che doveva sfruttare al meglio e non come una condanna.

Matteo si era deciso ad andarsene poco dopo l’ultimo Evento, lasciandole in dono ancora più tempo per sé stessa. Adesso era completamente sola, Rachele, e tutta questa libertà si spalancava davanti a lei come le fauci di un animale selvaggio incattivito dalla fame. Rachele cercava lo stesso di combattere la sensazione di terrore che aveva addosso e per questo riempiva le sue giornate fino allo sfinimento: con il lavoro, i corsi formativi, le uscite per negozi e ristoranti, le mostre, le degustazioni enogastronomiche e le attività sportive.

In un primo momento, Rachele si era presa cura del suo corpo malandato. Si meritava qualche coccola, dopo l’ultimo Evento: una bella doccia bollente, costose creme per capelli, rossetti dalla stesura super morbida e profumi su misura. Aveva tempo, del resto, e anche soldi. Non tanti, ma quello che guadagnava adesso era tutto a sua disposizione. Non c’erano più conti in comune, né salvadanai da riempire in due per comprare un televisore nuovo e nemmeno assicurazioni sulla vita da sottoscrivere in favore di qualcuno che non esisteva. La fortuna, poi, di abitare in una metropoli; lo ripeteva sempre Rachele: P. era grande, c’erano eventi culturali per tutti i gusti e vuoi mettere la comodità di viaggiare in metro, andare al ristorante da sola, o due ore dal parrucchiere? Chi c’era ad aspettarla, tanto?
Sicuramente anche Matteo avrebbe voluto vederla rilassata e felice ma non le aveva dato il tempo. O gliel’aveva dato, ma a modo suo. L’aveva lasciata in balia del suo tempo, anche. E a tempo indeterminato. Pure a tempo debito. Durante un tempo di merda, tra l’altro, visto che fuori pioveva e anche un po’ dentro pioveva, forse. Lei aveva proprio bisogno di tempo per sé stessa, quello che l’ultimo Evento, e anche tutti i precedenti, le avevano sottratto, impedendole a lungo di pensare ad altro e lasciandola sfinita dai pianti. Aveva bisogno di condividere il peso del suo dolore.

Si era iscritta a un corso di Hatha Yoga il giorno stesso in cui Matteo se ne era andato. Lui aveva chiuso piano la porta, affinché lei non lo sentisse. Non aveva lasciato niente dietro di sé, un paio di calzini sporchi, una camicia da stirare, niente, nemmeno la sua tazza preferita, quella di Serpeverde. A Rachele Harry Potter non era mai piaciuto, ma da quando Matteo era entrato nella sua vita, quel maghetto dal faccino tenero e gli occhiali tondi aveva cominciato a farle sempre più tenerezza. Sul ripiano dell’armadio della cucina si era formato adesso uno spazio libero, come se l’assenza della tazza avesse deformato la mensola e creato un vuoto e ora quel vuoto stordiva Rachele. Pure lei si era sentita svuotata, per l’Evento: aveva perso molto sangue e la pressione era scesa drasticamente sotto i settanta. Ma la lettera che Marco aveva avuto la bontà di lasciarle l’avrebbe trovata soltanto un mese dopo, quando ormai era troppo tardi.

Lo Hatha Yoga le piaceva perché era una pratica zen che non stressava particolarmente i muscoli e il corpo. Due ore al giorno potevano bastare; il corpo si ammorbidiva, diventava sempre più flessibile e insensibile al dolore e Rachele riusciva a restare ferma in strambe posizioni sempre più a lungo. Per quanto riguardava la mente, invece, era più difficile chiederle lo sforzo di rimanere immobile, contratta, di non divagare a destra e a sinistra. Che poi, sia a destra che a sinistra gli Eventi si affacciavano, pensava Rachele, anche quando lei non li andava a cercare. Erano sensazioni corporee molto forti. Prima saliva un dolore al petto, all’apparenza inspiegabile, che si diffondeva uniformemente ovunque fino a provocarle un sussulto e spesso le lacrime, e poi affiorava il ricordo vero e proprio, nitido, di quanto accaduto. Tanto che non riusciva a capire se fosse il dolore che provava a riportarla all’Evento o se il ricordo dell’Evento le provocasse quella terribile sensazione. L’Evento si era ripetuto talmente tante volte che ormai Rachele pensava di esserne perseguitata, condannata al duplice ruolo di vittima e carnefice. Era successo così spesso, pensava in posizione Adho Mukha Savasana, che ormai mischiava il ricordo di quelle giornate interminabili, a casa o all’ospedale, con le contrazioni o senza, in attesa di ricevere la morte. Confondeva le date e incolpava certi suoi atteggiamenti: il vizio delle sigarette rotolate a mano, a bandiera, le verdure lavate in fretta e senza cura e il non badare alla pastorizzazione dei formaggi. Più soffriva e più la pena sembrava alleggerirsi. Ma era solo una sensazione. La mente, che tanto avrebbe voluto piegare al suo volere, prendeva direzioni inaspettate, lontane.

La lettera di Matteo parlava chiaro: lui non era abbastanza forte per attraversare ancora un altro Evento. L’ultimo l’aveva devastato. Non c’erano certezze e lui gliel’aveva sempre detto che viveva di certezze. Aveva trovato un lavoro a tempo indeterminato subito dopo la laurea, si era sobbarcato un mutuo per l’appartamento in centro nel giro di pochi anni. Non lo faceva apposta, Matteo, e le voleva davvero bene, ma una vita precaria, senza mai sapere se avrebbe potuto, se loro avrebbero potuto, beh, lui non la sopportava. Lo sapeva che la faceva soffrire ma riconosceva di non essere forte come lei e, soprattutto, non si sentiva più in grado di sacrificarsi. Ecco cosa aveva scritto nella lettera. Lei era di un’altra pasta, sapeva trovare la forza di ricominciare ogni volta, continuava lui, ed era sicuro che prima o poi ce l’avrebbe fatta. Ne era proprio sicuro. Avrebbe portato a termine il loro progetto, ma, con molta probabilità, non con lui. Lui, quel macigno nel petto non lo sosteneva più e se ne andava lontano per dimenticare l’Evento, l’ultimo Evento e tutti gli Eventi passati, per dimenticare anche lei e ciò che con lei aveva provato, un grande amore prima, un’enorme sofferenza dopo, per sotterrare tutto, per metterci una pietra sopra e ricominciare da capo, chissà dove, magari con un’altra, con la speranza che. Seppelliva l’Evento e tutti gli Eventi trascorsi e la sofferenza che ne era scaturita per non impazzire, relegandolo a una piccola cicatrice nell’anima che avrebbe fatto capolino qualche sporadica volta in cui avrebbe ricordato Rachele e quei giorni.

Rachele leggeva la lettera e pensava che Matteo non portasse alcun segno fisico dell’Evento, nessuna cicatrice o modifica del corpo. Gliene voleva per questo. Matteo era sempre lo stesso di prima, poteva contare sul suo corpo, riconoscersi all’occorrenza. Non come lei. Questo Rachele pensava e, anche se l’amava ancora, non riusciva a togliersi dalla testa quell’ingiustizia, una disuguaglianza immotivata data dalla casualità dei cromosomi.

Il suo corpo che ora cospargeva di creme profumate si era prima sformato, allargato e ammorbidito per lasciare spazio a una nuova vita che si apprestava a crescere dentro di lei. Poi si era contratto, piegato in due e rivoltato contro sé stesso, come una faida interna a un territorio i cui i membri si ammazzano tra loro. La prima volta non si era accorta di niente, era successo e basta, e lei si era ritrovata a essere la tomba di suo figlio, a cullare un corpicino morto e formato per metà. Tutte le altre volte, invece, aveva espulso fiumi di sangue e grumi, placenta, secrezioni, umori. Anche le lacrime erano uscite prepotenti e i singhiozzi disperati come quelli di un animale.

Matteo, c’è da dire, era rimasto con lei in ogni momento, poi non aveva più retto. Non ne poteva più di correre al pronto soccorso nel cuore della notte, né di comprare tonnellate di assorbenti e tachipirine. Non facevano quasi più l’amore, e quando tornavano a farlo era frutto di calcoli e probabilità. Era stanco anche di vederla piangere, depressa e incattivita. Era stanco di cucinare piatti pronti per entrambi e di lavare i pavimenti. Di occuparsi della casa. Avrebbe dovuto riprendersi, Rachele, e continuare a vivere anche per il bene di Matteo. D’altronde non era sola: lui non l’aveva mai abbandonata. Era stanco di non essere più padrone della sua vita. Ne soffriva, Matteo, impossibile negarlo, il fatto era che lui vedeva un’alternativa, una via di fuga, una speranza che in lei si stava spegnendo. Non era lui quello con le contrazioni, non era quello con i crampi e i sanguinamenti, non era lui a farsi raschiare ogni volta l’utero né ad avere gli ormoni sbalzati. Non era lui a perdere un figlio, no? Il figlio lo perdeva lei, era il corpo di Rachele che usciva sconfitto dagli Eventi, non il suo. Lui poteva sperare in una vita migliore di quella, in fondo era giovane. Erano anni che ci provavano e forse era giunto il momento di mettere fine a quel dolore una volta per tutte. Ma se Rachele non riusciva a rimettersi in piedi dopo l’ennesima volta, non doveva succedere per forza anche a lui.
Se ne era andato e non sarebbe tornato indietro. Se ne erano andati tutti, pensava Rachele limandosi le unghie, scivolati giù per lo scarico o finiti in qualche inceneritore ospedaliero.

Il corpo e la mente strettamente congiunti, dicevano i principi dello Hatha. Cercare di compiere un’astrazione immediata dal piano dell’esperienza terrena e umana. Astrarsi era una bella parola, pensò Rachele. Faceva rima con catarsi e anche con amarsi.

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