Defoe e il suo editor

Ha bisogno d’un dogsitter, io ho un disperato bisogno di soldi: so che oggi in Italia lo dicono tutti, ma è così, è la mia verità.

Non so lui chi sia, lui non sa chi sia io; trovo il numero sulla bacheca annunci accanto al panettiere, mentre compravo il pane perché è l’unica cosa che posso accattarmi: un filone di pane, da mangiare un po’ alla volta durante la giornata. Poi certo, rubo al supermercato, rubo nell’orto del contadino vicino casa, vado in collina a raccogliere asparagi e altra verdura selvatica. Quasi sempre, a nutrirmi è pane e verdure, pane e caciotta, pane e cipolla, pane e fagioli. Nessun pasto caldo, mai un piatto da lavare dopo aver mangiato, al massimo pentolame e posate.
Anche mia nonna mangia le stesse cose che mangio io, ma sdentata com’è, le risulta più difficile mangiare e lascia la crosta del pane; non si butta, la mangio io.
Siamo io e lei a vivere qua dentro, casa è sua, un tugurio. La pensione se ne va in bollette e altre spese statali ed è per questo che a fine mese non ci resta un dané. Entrambi, per alleviare i crampi allo stomaco, ci mettiamo a fumare. Fumiamo di continuo, ma mica sigarette industriali, ce le prepariamo da noi. Il tabacco si rimedia in giro, un po’ qua un po’ là, chiedo ai passanti un po’ di tabacco. A fumare trinciato sono perlopiù giovani, i giovani si sa, sono più generosi. Prendono la bustina di Camel, No-name White, Winston; e con indice e pollice, a formare una tenaglia, acciuffano il tabacco. Io metto la mano a conca, ringrazio, faccio due o tre passi e poi prendo la bustina sottovuoto dalla tasca e ficco il tabacco all’interno. Quando la bustina è piena torno a casa e ci mettiamo a fumare. Anche le cartine si scroccano, sennò usiamo la carta igienica, o fogli di giornale datati ‘73, ‘74, ‘75 fino all’81; quando mia nonna faceva l’operaia e comprava quattro testate al giorno, le lire vuoi o non vuoi giravano. Ci mettiamo a fumare, facciamo i conti, cosa va comprato, cosa cuciniamo per cena (se pane e cipolla, pane e asparagi).
Mentre lei preferisce fumare sul divano con lo stomaco che ferraglia e stride, io vado in balcone, appoggiato alla ringhiera mi metto a guardare. Il palazzo davanti ospita altri morti di fame, prostitute, operai dimessi, ex tossici, redivivi con la pensione d’invalidità. Tutti ci mettiamo a fumare sul balcone, ci guardiamo dritti negli occhi per capire chi sta peggio, a chi andare a rubare il televisore quando la notte arriva, come vanno le cose; senza parlare.
Tutti i giorni, alle 11, alle 15, alle 19, c’è una bella signora, in carne, con tanta carne e oro addosso, che fuma e mi guarda. Mentre mi guarda gioca col tacco o con lo zoccolo che indossa, lo sfila e lo rimette, si passa il piede sul polpaccio e sulla coscia. Le unghie sono rosse, affilate. Io guardo il piede e quella mi sorride, fuma con gusto. Poi si passa la mano sulla coscia, sulla pancia, sul seno; lo fa per piacere di farlo, per sorridere e fumare con gusto. E io guardo quella mano che tasta tutta quella carne sazia, e viaggia per la coscia, la pancia e il seno. Quando poi finiscono le nostre sigarette, rientriamo in casa. Io trovo mia nonna con la cataratta, ritratta sul divano; chissà lei, quella donna, che cosa trova quando rientra in casa, smesso di fumare. Poi vado in bagno e mi masturbo pensando a quel piede, a quella mano, a quel sorriso di gusto.

Il foglietto attaccato alla bacheca annunci, vicino al panettiere, vicino all’altra bacheca coi morti convocati: Alfredo Guglielmi età 61 anni i parenti si abbracciano nell’addio, Marcellina Speranza età 47 anni stretti nell’abbraccio dell’improvviso malore, Carolina Decremino età 99 anni in grazia di dio accolta nel regno dei cieli ecc.
Ho preso il numero, pure se di cani non ci ho mai capito niente, gli avrei spiegato il motivo: che imparo in fretta; che alle elementari andavo bene in tutte le materie poi non so cos’è successo; mia nonna con la cataratta e chissà quando sarebbe morta, quando pure il suo nome sarebbe apparso su quella bacheca; io che fine farò, senza la sua pensione. Torno a casa e chiamo. Sono il primo a parlare, lui neanche fiata: Senta, lo so che qua si tratta di un cane e io non ho mai avuto un cane né capisco niente di cani, ma ho mia nonna con la cataratta e a me servono davvero dei soldi, la prego non dia il lavoro all’ennesimo animalista, andavo bene alle elementari poi. Quello mi interrompe e dice: Guardi non mi interessa, l’importante è che non uccida Defoe – il cane –, lei è stato il primo a chiamare, io parto fra un’ora, lei deve raggiungermi tra dieci minuti, riesce a passare tra dieci minuti? Così le spiego tutto, in via Pan Francesco mollicaro del Montesilvano pescarese occitanico ululaccio 14 B, grazie, l’aspetto.
Abbasso la cornetta e urlo a mia nonna: ho un lavoro, nonna ho un lavoro, dei soldi, nonna dei soldi! Ma lei, ritratta com’è, muove le braccia confusa e sconclusa in segno di gioia, e prova a cercarmi per stringermi la mano o abbracciarmi, ma con la cataratta che ha non mi acchiappa. Vedo pure che sta per proferire qualcosa ma lo sdentume gengivale non lascia speranza, solo una voce flebile e disumana esce dalla cavità orale ed è incomprensibile.
Sono le 14.59 e prima d’andare voglio affacciarmi a guardare la donna, ma non fumo. Quella muove il piede, la mano; poi s’accorge che non sto fumando e per la prima volta mi parla: Non hai da fumare? Vieni qui, fuma con me. Non è servito urlare perché la distanza fra i due casermoni non è tanta. Io le dico che devo andare al lavoro, magari in serata passo. Mi risponde con un occhiolino, di gusto. Scendo e mi dirigo verso l’indirizzo.

Quando arrivo dice che sono in ritardo e di conseguenza anche lui è in ritardo, queste sono le chiavi, ti ho lasciato un foglio con scritte tutte le indicazioni. Sei gentilissimo, io vado prima che perdo il treno, ciao Defoe ciao bello mio ma quanto sei bello dai ciaociao. Sbatte la porta e lascia Defoe scodinzolante col pene turgido e scarlatto. Io non ho mai accarezzato un cane in vita mia, forse da bambino, forse anni fa per rubargli un pezzo di pane dal morso, e nella foga del furto famelico sarà partita una carezza vicino al muso. Una bestia innocua, ecco cos’è Defoe. Una bestia rassomigliante a un topo per le dimensioni, alla signora di fronte casa per la pinguedine. È la prima volta che mi vede e non un latrato, non un ringhio: scodinzola arrapato e si struscia alla gamba, vuole le coccole ma io non so come si fanno, le coccole.
Sul tavolo trovo il foglietto, c’è scritto: Non ti ho detto nulla ma devi stare tre giorni con Defoe, spero non sia un problema. Io sono in viaggio per lavoro, a Torino, al Salone del Libro, spero ti piaccia leggere e che ti interessi di Letteratura, potremmo essere grandi amici. Defoe è un cane tranquillo, dagli una volta al giorno l’umido, riempi la ciotola di croccantini e dell’acqua quando sono vuote: sembra minuscolo ma mangia e beve come un cavallo. Resta con Defoe in questi tre giorni, ti prego, non tornare a casa: puoi dormire nel mio letto, o sul divano o sulla poltrona o dove preferisci. Sarai pagato ad ora, qui la cifra: …, l’avrai quando torno. Mi accorgo se non resti con Defoe, ci sono telecamere sparse per la casa, non posso dirti dove, non perché non mi fido di te, per una questione di intimità mia e tua. Se vai via e lasci Defoe solo non avrai alcun compenso. Non serve che lo porti fuori, sa fare i bisogni nella doccia, gliel’ho insegnato io. Tu basta che apri l’acqua e sciacqui il piatto dopo che lui ha espletato. Puoi prendere quello che vuoi dal frigo, dalla dispensa, ho fatto la spesa apposta per te. Puoi chiamarmi quando vuoi, per quesiti, emergenze, confronti letterari, le grandi novità del momento qui al Salone. Sono sicuro che sei la persona giusta per Defoe, l’ho capito subito dal tono della voce. Fatti sentire, a presto. Ps. Non ti ho lasciato le chiavi, appena sei entrato ti ho detto ecco le chiavi, in realtà non te le ho lasciate, se esci di casa non puoi rientrare, non sarai pagato, la spesa è stata fatta, puoi usare la doccia e i miei vestiti. Non abbandonare Defoe.
Un ciao, firmato Roberto chiude la lettera. Alzo lo sguardo e c’è Defoe che scodinzola con l’erezione maestosa. Cerco il tutorial su youtube come si accarezza un cane. Nel mentre controllo le ciotole, quella dei croccantini e quella dell’acqua, sono entrambe piene. Apro il frigo, apro la dispensa, c’è davvero tutto, potrei mangiare per un anno intero. Chiamo mia nonna e le dico che non torno per tre giorni, che sono ricco, che sono pieno di cibo, vorrei portarle un po’ di roba ma non posso, di cavarsela da sola, di chiamare l’amica sua Peppina se serve, io proprio non posso raggiungerti, non ti sto a spiegare adesso il motivo, ti giuro che quando torno ti racconto tutto e porto cibo e soldi. Imparo grazie al video come accarezzare Defoe e lo accarezzo per un’oretta sul muso, sulle zampe, vicino alla coda. Mentre vedo il tutorial livello due come giocare con un cane, mi cucino un piatto di pasta, una bistecca, un’orata, patate al forno, bevo vino, birra, gin, vodka. Ubriaco perso mangio sbranando, accarezzo e gioco con Defoe. Sarà poi la digestione, la stanchezza, la sbornia, l’affetto del mio nuovo migliore amico: io e Defoe ci addormentiamo abbracciati sul divano.

Vengo svegliato dallo squillo del telefono: Ieri sei stato bravissimo con Defoe! Hai fatto bene a cucinare tutta quella roba, a bere tutte quelle bibite, a Defoe gli sarà sembrata una festa, un evento speciale! Bravo, bravo. Lo sapevo che eri la persona giusta per lui.
Continua con i complimenti e con le raccomandazioni, mi parla del Salone del libro, di tutti questi autori che vogliono farsi pubblicare, di quanta gente oggi scrive, quanti vanno da lui con un dattiloscritto fresco di stampa, ci credono davvero, si mostrano come i nuovi talenti del secolo, e lui che dovrebbe mostrarsi riconoscente, grato per averli scovati. Pagherebbero oro per farsi pubblicare, così patetici, col braccio maculato e macilento che allunga il dattiloscritto, lui che sorride, annuisce, promette che leggerà e farà sapere, poi confessa: Ma io come faccio? Come faccio a leggere tutte queste proposte? Ovvio che dall’incipit capisco tutto, ovvio che do un’occhiata e capisco se cestinare il malloppo o iniziare la lettura. Certo, non sono solo, siamo in tre a leggere le proposte ma è sempre vero che il tempo è quello che è, meglio andare sul sicuro e aspettare le agenzie letterarie cosa propongono, o no? Vabbè ora torno allo stand, ai sorrisi, alle speranze che lascio a tutti questi scrittori e scrittrici, salutami Defoe.
Quando riattacca, l’idea è lampante. Mi siedo alla scrivania, accendo il computer, controllo le ciotole, accarezzo Defoe, apro Word, tracanno la birra, mi metto a scrivere. Faccio pause ogni mezz’ora così accarezzo Defoe, gli lancio la palla, mangio, bevo, cago, mi masturbo, bevo. Poi mi rimetto a scrivere di mia nonna, della cataratta, della signora di fronte casa, del suo piede e della sua mano, di Defoe. Scrivo e rileggo, mi confronto con Defoe, un abbaio è: sei un genio stai scrivendo un capolavoro; due abbai è: occhio a quel passaggio, rivedilo. C’è grande intesa tra me e Defoe, si vede che è il cane di un editor.

Richiamo mia nonna e le chiedo come va. Richiama l’editor e mi chiede come va. Defoe abbaia sempre una volta sola. Giochiamo, lo accarezzo, e penso a come continuare il romanzo. Sciacquo il piatto della doccia dopo le deiezioni di Defoe. Riempio le ciotole. Mi cucino banchetti di leccornie. Continuo a bere alcolici. Scrivo di me, di nonna, della donna, di Defoe.
Con questi ritmi il romanzo lo finisco, duecento pagine word, messo il punto, lo salvo sul desktop, Defoe abbaia una sola volta. Nell’attesa scrivo anche questo racconto, sarebbe la riduzione del romanzo, ma il romanzo so come finisce e come ho voluto vederlo finire, questo racconto pure so come finisce e come voglio vederlo finire. Questa storia invece, questa mia storia, non so come finirà, non so se torno da mia nonna, se vado dalla donna di fronte casa, se resto qui e mi innamoro di Roberto come mi sono innamorato di Defoe, se scappo a Torino in cerca di editori.
Defoe abbaia due volte. Sento bussare alla porta, non c’è bisogno che vada ad aprire perché poi viene aperta e Defoe corre a salutarlo, restano una decina di minuti sulla soglia, poi Roberto s’alza e m’abbraccia: Sei stato bravissimo, grazie davvero, guarda com’è contento. Posa la borsa, la giacca, gli chiedo dove sono i dattiloscritti di cui mi ha parlato al telefono. Li ho buttati tutti, risponde. Accarezza di nuovo Defoe e chiede cosa abbiamo fatto, se siamo stati bravi, se abbiamo mangiato, se ci siamo annoiati. Defoe scodinzola e ha il pene turgido e scarlatto. Ho scritto un romanzo, dico, puoi trovarlo salvato sul desktop del tuo computer. Sorride e non risponde. Fa per consegnarmi i soldi ma non li accetto, gli dico che può tenerseli se mi pubblica il romanzo, che posso stare con Defoe tutto il tempo che occorre senza essere pagato se mi pubblica il romanzo. Roberto dice che ci darà un’occhiata. Quando vado via il sapore dello Strega mi stordisce.

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