Escapologia

Capitò che un’auto lo prese in pieno mentre attraversava la strada. L’urto lo spinse sul parabrezza, mandandolo in frantumi. F* rotolò a terra, fermandosi sul marciapiede.

L’ultima immagine, prima di svenire, fu quella del cofano schiacciato dall’urto, e la sua spesa giornaliera sparsa per la strada. Tanto gli bastò per capire che fino ad allora aveva sbagliato vita.

Un segno divino. O una più laica illuminazione: F* si svegliò in ospedale convinto che la dieta che avrebbe dovuto iniziare da quel giorno era un grosso sbaglio che avrebbe potuto pagare con la vita. E l’incidente che gli era capitato lo aveva illuminato sulla questione: era vivo grazie al suo sovrappeso. Un corpicino pelle e ossa, preso in pieno da quel macchinone, sarebbe stato spezzato in due o anche in più parti. Sarebbe stato maciullato, macinato. E invece lui era sveglio. In un letto d’ospedale, certo, ma vivo.
La conferma arrivò quando il medico gli disse che aveva perso solo un po’ di sangue dalla testa e aveva rimediato qualche escoriazione e qualche livido. Nessuna frattura. Doveva rimanere in ospedale per accertamenti. Il conducente dell’auto, invece, si trovava in rianimazione: non portava la cintura di sicurezza e l’urto con l’airbag gli aveva quasi spezzato l’osso del collo. Fosse sopravvissuto, avrebbe rischiato di passare la sua intera vita immobile su un lettino.

Il problema fondamentale di F* risiedeva nella sua paura di morire. F* era vittima della paura atavica dell’essere umano: F* era sottomesso alla condizione umana par excellence, e nessuna cura era servita a far passare i suoi giorni senza l’ansia di quella terribile coscienza.
Aveva provato con le religioni, le filosofie orientali; aveva pensato anche a drogarsi, a bere, ma nessuna di queste opzioni fu quella adatta. Le religioni le eliminò subito: erano troppo stupide e non risolvevano il problema alla base, ma volevano dimenticarlo attraverso regole di vita impossibili e riti pagliacceschi. Le filosofie orientali erano affascinanti ma noiose nella pratica, e le droghe acuivano il problema quando ne finiva l’effetto.
Intanto, aveva messo molti chili più del necessario, faticava nei movimenti e l’ansia cresceva a dismisura. Allora si decise a farsi visitare da un dietologo, che gli prescrisse una dieta rigida con la certezza di farlo rinascere nel fisico e nello spirito. Il giorno in cui fu investito, F* tornava proprio da quella visita. Aveva fatto la spesa lì vicino, riempiendo le buste di verdura che si sarebbe apprestato a mangiare cotta, senza troppi condimenti.

Il pensiero fu questo: combattere la morte con la morte stessa. Il grasso che secondo il medico lo avrebbe condotto a una morte anticipata e probabilmente dolorosa, lo aveva salvato da una morte sfortunata e raccapricciante. Non doveva muoversi, correre, bruciare grassi: doveva star fermo, immobile il più possibile. E ingrassare. Ingrassare, perché in caso di altri scontri, il suo grasso avrebbe protetto le sue ossa e i suoi organi interni. L’immobilità: perché era il movimento che aumentava la possibilità di andare incontro ad avvenimenti dannosi alla sua salute. Se camminavi potevi scivolare e romperti qualche osso, sbattere la testa, addirittura romperti l’osso del collo e vivere il resto della vita da vegetale. Se ti spostavi con qualunque mezzo potevi avere un incidente, finire la tua vita schiacciato su un guardrail, precipitare da un aereo, finire fuori dai binari con un treno. E poi: affogare, cadere da un balcone, prendersi malattie esotiche e incurabili dopo un viaggio all’estero. Dolore, sofferenza, catastrofe. F* voleva la pace. E la vita. L’immobilità era la risposta al dolore, la cura.

Sebbene i primi giorni d’immobilità furono complicati, presto subentrò l’abitudine al nuovo stile di vita. Poiché F* era solo, senza famiglia o amicizie, fu costretto ad assumere una persona disponibile a provvedere a lui, una persona che avrebbe dovuto lavarlo, pulirlo dalle sue deiezioni, occuparsi del cibo. Non si dedicò a colloqui lunghi e accurati, anzi trovò facilmente una signora delle pulizie da lui già conosciuta che assunse a tempo pieno. Lei veniva pagata coi soldi della pensione che i genitori gli avevano lasciato prima della loro morte. A lui, del resto, i soldi non servivano a null’altro che al cibo.
La brava signora, dopo un primo momento d’imbarazzo, fu subito disposta a mettersi a completo servizio, anche perché già con esperienza di anziani non più autosufficienti.

I mesi passavano e F* aveva messo più di dieci chili. Non una volta era sceso dal letto. Per non sforzare il suo cervello, aveva deciso di bandire anche televisione, libri e giornali. Quando era sveglio, fissava il muro o il soffitto. Non parlava neanche più, e la signora che lo aiutava, spesso si trovava a parlar da sola, o a fare delle domande e a rispondersi da sola. Ma nemmeno questo pesava alla brava lavoratrice; in più, era così capace a gestire il mondo esterno a quella casa, che riuscì a non far mai entrare nessun curioso e a non svelare nemmeno il più vago avvenimento o pensiero dei due in quella casa. Aveva anche imparato a svuotargli i testicoli quando delle erezioni automatiche disturbavano F*. In quei casi, la donna lo masturbava velocemente per liberarlo dalla pressione di un desiderio pericoloso per la sua lotta vitale.

Nei primi mesi d’immobilità, F* si lasciava trascinare da molti pensieri. A volte metteva in dubbio la sua causa, a volte si chiedeva se non stava sbagliando metodo, rinunciando così a un mondo che doveva essere vissuto. A volte dubitava di resistere alla lotta contro la morte. A volte benediva la sua ansia, che gli ricordava costantemente la necessità di quella lotta.

Passarono pochi mesi e F* ormai pensava sempre di meno. Viveva in una trance che si dissolveva solo per i suoi bisogni fisiologici, ma la sua assistente era diventata così brava che riusciva ad anticipare anche una semplice pisciata. Sembrava sentisse le vibrazioni della sua vescica. Lei era lì, pronta col pappagallo oppure con la pala, perché sembrava conoscere anche i movimenti del suo intestino.

F* ingrassava a dismisura. Seduto sul suo letto matrimoniale, sembrava un enorme Buddha, un monolite di carne floscia, un organismo che cresceva a vista d’occhio, silenzioso, pacifico.
Grasso com’era divenuto, non aveva neanche più erezioni, ma per i suoi bisogni fisiologici la donna ebbe bisogno di un aiuto. L’aiutò un medico, suo amico, che le insegnò a usare un catetere e, dopo una operazione di colostomia non dovuta a problemi di salute ma necessaria per una praticità igienica, risolse così anche il problema delle feci. Ovviamente, il medico fu ben retribuito affinché tenesse nascosto il tutto.

Passarono alcuni anni. F* aveva assunse dimensioni inumane, ma viveva. Ormai non parlava più, non apriva neanche gli occhi. Gli unici movimenti erano dati dalla masticazione automatica e continua. Era riuscito a isolarsi dalla società umana.
Anni prima, chiunque l’avesse visto avrebbe sicuramente scommesso che non sarebbe durato ancora per molto, che sarebbe stato un ricettacolo di malattie pronte a ucciderlo. E invece F* viveva, anche se forse neanche lui ne era ormai cosciente.

Un giorno, la donna che lo aveva sempre assistito in quella impresa titanica ebbe un infarto. Ciò che pensò prima di morire fu maledire se stessa: in tutti questi anni non aveva istruito nessuno a prendere il suo posto. La sua morte condannava F*.
Ma F* sembrò non accorgersi di nulla, e continuò a vivere.

***

AVVERTENZA: non amo né ho mai amato ogni mio scritto, che sia stata una poesia, un racconto, un articolo, una riflessione. Non fa la differenza questo Escapologia, pubblicato in origine sul defunto blog Antecritica di Francesco Corigliano, un blog sperimentale che tanto mi ha dato e che ringrazio ancora.

Escapologia passò giustamente inosservato, ma i pochi che lo lessero ne dissero male. E non avevano torto.

Allora perché riprenderlo e ripubblicarlo? Perché c’è qualcosa che mi attira, che me lo fa sentire autenticamente mio. È un legame tossico (è tossico di per sé il mio legame con la scrittura: dovrei abbandonarla del tutto, invece mi ritrovo sempre a scrivere), ma celarlo non aiuta nessuno.

Ho rivisto alcuni passi, ma è pressoché lo stesso racconto.

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