29 settembre

Seduto in quel caffè
io non pensavo a te

Ieri il locale era più affollato del solito. Il barista ha preso nota del mio ordine sul blocco comande ed è tornato dentro.

L’aria era già ottobrina; eppure, il display dell’orologio mi ricordava che settembre non era ancora finito. Due nove zero nove, ho annotato su una nuova pagina del mio quaderno, in alto a destra.
Auto di grossa cilindrata sfilavano sul viale, una appresso l’altra. Sul marciapiede una donna camminava con il figlio, tenendolo per mano.
«Ecco il suo americano».
Il ragazzo ha appoggiato il bicchiere rosso sul tavolo, insieme a una ciotolina di patatine e a una di olive.
«Sono sei euro».
Ho frugato in tasca. Gli ho allungato una banconota da cinque euro e due monete da cinquanta centesimi.
Un’anziana signora si è accomodata a un tavolino poco lontano da me. L’ho osservata mentre lenta scostava la sedia e prendeva posto. Il cameriere le si è avvicinato. Sul viale un bus colmo di cravatte e tailleur si è fermato al semaforo.
Ho sorseggiato il mio drink dopo aver tolto dal bicchiere la fetta d’arancia. Con uno stuzzicadenti ho infilzato un’oliva e l’ho lavorata con i denti per separare la polpa dal nocciolo. Ho appuntato sul quaderno: Mentre il mondo mi gira intorno, io cerco…
Dalla strada il clacson di un’automobile ha intimato a qualcuno di muoversi. Subito i due litiganti hanno lasciato il posto a nuovi altri.
Il cameriere è tornato con un caffè per la signora. Poco lontano una donna scrollava il telefono. Stava aspettando qualcuno? Ha alzato gli occhi dallo schermo, mi ha visto che la guardavo. Mi ha sorriso.
L’ho raggiunta al suo tavolo. Ci siamo presentati. Abbiamo ordinato un drink a testa, bevuto e chiacchierato. Ridevamo e abbiamo preso un altro cocktail. Le ho proposto di fare due passi in centro. Camminavamo tenendoci stretti sottobraccio contro al traffico di auto e di persone; mi sembrava di conoscerla da sempre, eppure l’avevo appena incontrata.
Eravamo ancora insieme quando s’è fatto buio. Le ho proposto di cenare in un ristorante lì a due passi; lei ha accettato. Abbiamo bevuto vino rosso. Con la forchetta carica di tagliatelle ai funghi porcini più volte tenuta sospesa a mezz’aria, mi ha raccontato del suo lavoro in banca e del figlio adolescente cresciuto da sola. Io ho parlato poco. Finita la cena, ci siamo spostati in un nuovo locale. Abbiamo ballato, l’ho tenuta stretta quasi come se non ci fosse che lei. I suoi capelli profumavano di cocco.

Ho mal di testa e un po’ di nausea. Ieri sera, forse, ho bevuto troppo. Nell’altra metà del letto tu non ci sei. Il sole filtra dalla tapparella mezza aperta e mi brucia gli occhi. Annuso il tuo cuscino ma non sento la solita vaniglia.
«Pronto?»
Come al solito mi rispondi al primo squillo.
«Ehi. Mi manchi».
Il tuo respiro è brezza d’estate.
«Ti ricordi di quella volta che ho comprato un nuovo paio di scarpe e solo a casa ho scoperto che non c’erano le stringhe?»
La tua risata è un ruscello in primavera.
«Ti amo. Torna presto».
È autunno già iniziato.

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