La mongolfiera

Giannozzo raggiunge la felicità solo per brevi momenti,
quando, un po’ per abilità un po’ per caso,
riesce a calcolare uno spazio mediano fra i termini terra-cielo,
quando per pochi momenti gli riesce di rimanere sospeso […] in un punto ambiguo.
Il briccone in mongolfiera, postfazione di Eugenio Bernardi a
Jean Paul, Giornale di bordo dell’aeronauta Giannozzo (1801).

Alla guida della mongolfiera rubata, l’aeronauta fuorilegge attende. Attende che qualcuno si preoccupi di andare a recuperarlo e denunciarlo. Non ha dichiarato il volo, non conosce la procedura legale prevista e non gli rimane che confidare nel destino e nella buona sorte. Da qualche parte atterrerà, e la speranza è che ciò avvenga oltre il confine.
L’ombra che la mongolfiera stende a terra dona alla vista sulla valle: se ne possono osservare meglio i rilievi e le depressioni. E, osservando l’ombra, l’aeronauta fuorilegge ricorda di quando, sul parapetto tubolare di un terrazzo, c’era l’ombra di un usignolo, ma nessuno la distingueva, perché i parapetti tubolari non sono fatti per le ombre. Al tempo, questa banale verità lo colpì molto. Da quella stessa ringhiera l’usignolo aveva preso poi il volo. L’aeronauta, per la prima volta, si era identificato con qualcosa o qualcuno: in quell’usignolo senza ombra gli era parso di vedere se stesso. Ora che osserva l’ombra che il pallone stende a valle, la cosa gli appare piacevole alla vista ma allo stesso tempo irritante. Avrebbe voluto volare per non farsi notare, avrebbe voluto smettere di allungare ombre.
La mongolfiera si abbassa. L’aeronauta di mongolfiere ne sa qualcosa, si è per così dire informato, ma al momento non si preoccupa di riportarlo in quota: quello che accade a terra cattura la sua attenzione.
Una ragazza esce sul balcone. Indossa un vestito rosso – o forse esce da una cucina dai mobili rossi? – ha lunghi capelli neri e braccia lunghe e sottili – braccia da scriverci una poesia – e con quelle braccia lunghe e sottili innaffia delle piante. Il balcone è piccolo. Là sopra, la ragazza è un usignolo. La mongolfiera si alza d’un poco. L’aeronauta non vede più la ragazza-usignolo. Non riesce a ricordare se era rosso il suo vestito o il mobilio della cucina che si era lasciata alle spalle. La cosa lo turba, ma lo turba di più il fatto che la mongolfiera si stia abbassando nuovamente, questa volta sussultando. Una corrente d’aria alza il mezzo. L’aeronauta stabilizza l’altitudine. Si appoggia al parapetto. Respira piano.
Il traffico è dritto e tangenziale alle colline, le macchine scorrono una accanto all’altra, e in una precisa stradina v’è un punto in cui prima una, poi due, poi tre coppie di auto corrono passandosi un luminoso testimone e risplendendo all’unisono.
Quella curva, realizza l’aeronauta con stupore, non dista molto da casa sua. Ecco che vede il giardino del suo vicino di casa, con grosse buche nel terreno. L’aeronauta abbassa fiamma e mezzo. Ha sempre osservato quelle buche provando un enorme fastidio, se non quando, rare volte e d’estate – con l’aria che tremava umida sopra il terreno – nel vederle si sentiva pervaso da allegria e divertimento. Le reputava una strana interferenza nel mondo.
Il proprietario di quel giardino viene chiamato dall’aeronauta l’uomo murato: l’uomo infatti sembra murato tra le tapparelle rosse nella casa grigia sopra la sua, a una collina di distanza e di differenza altimetrica. Lo ha sempre e solo visto là, dietro le tapparelle rosse semiabbassate.

Quella che fa ora l’aeronauta è quindi una scoperta inquietante, eccitante: la casa dell’uomo murato ha un altro giardino, un giardino che direbbe “sul retro” se non fosse che dall’aspetto sembra proprio essere il giardino principale, quello frontale. E lì, su un tagliaerba, l’uomo murato guida attraverso un prato perfettamente curato, privo di buche, privo di inesattezze, e anzi così geometricamente decorato da risultare sgradevole. E a una delle finestre che affacciano su quella perfetta struttura verde sta una signora. Stende lenzuola e cuscini. L’uomo, ormai non-più-murato, ha quindi una moglie, ed è lì che vive davvero, sul lato est della sua villetta. Ad ovest: solo buche. Su quella sorta di faccia nascosta della Luna, l’uomo cura relazioni e prati. Stese alle finestre, lenzuola e federe.
Il cielo è sempre più scuro, e l’aeronauta si chiede perché il vicino e la moglie arieggino la biancheria di sera, perché la federa a righe blu sta sul grigio davanzale anche se non solo non è mattina, ma addirittura il tramonto è prossimo – come se il tempo non esistesse e un’ora valesse l’altra, come se dovesse essere l’eternità e non un giorno provvisto di sera. Forse che la morte, per due che si sentono a essa più vicini che lontani, non conti più? Che un’ora davvero valga l’altra? Questa anarchia temporale, gli sembra, stride con la geometrica perfezione del loro vero giardino, il giardino privo di buche. Che questi due conducano una coniugalmente congiunta doppia vita?
È un attimo, e l’aeronauta viene distratto da una chioma di capelli lunghi e neri e lucidi. È una donna sul marciapiede: si mette la borsa sulla spalla, ed ecco che la mongolfiera vira, trema, non la vede più: è la ragazza-usignolo? La mongolfiera prende velocità, l’aeronauta si aggrappa a una fune, ecco la lucente periferia nord dove stanno i Pakistani e c’è sempre un’invasione di conigli (oramai mangiano tutti i fiori e le gemme delle tristi piante del cimitero, e le anziane sono disperate e scrivono al sindaco) – la periferia nord che è un luogo rinchiuso in sé anche se ci sono le tangenziali.
La mongolfiera rallenta. Va ancora più a nord, verso il confine. Tutto bene. Non vedrà i vicini di cui ha scoperto così tanto e così poco.
L’aeronauta saluta la città e la civiltà immaginando la vita dei due coniugi, ultimo reperto umano prima di affrontare le montagne (spera di superarle, ma chissà).
Sono marito e moglie. Questo lo sa. Dunque immagina: hanno comprato la casa anni fa, ora lei colleziona pietre terapeutiche, di quelle in vendita all’edicola. Questa settimana è uscito il lapislazzuli blu, e lo mette nella vetrinetta.
L’uomo non-più-murato è vestito di grigio: un grigio più caldo per la maglietta, uno più freddo per i pantaloni. Le stesse tonalità del muro esterno. Questo l’aeronauta lo sa – lo ha notato perché è un dettaglio buffo: due grigi mal assortiti scelti non solo per la casa, ma anche per l’abbigliamento. Tuttavia a partire da questo dato non riesce più a immaginare nulla: all’improvviso, le montagne sono tutt’intorno.
Il sole scompare alle spalle di un altipiano.
Chissà se anche lui sarebbe finito a collezionare pietre terapeutiche con la ragazza-usignolo dalle braccia sottili e i capelli neri.
Il dente rossastro di una cima si avvicina. Ma no, nessuna collezione di pietre terapeutiche ad attenderlo: non riesce proprio a pensare di lasciare ombra nelle vite degli altri. L’aeronauta abbassa la fiamma, ma il gesto non sortisce nessun effetto. La mongolfiera corre con le montagne.
Non che odi gli umani, ma per stare con loro deve sempre trovare un punto ambiguo, a mezz’aria, da dove osservarli tangenzialmente.
Rocce nere pece lo circondano. La prima debole stella, si dice l’aeronauta: la vede oltre il confine, perfetta sulla cima di un’alta montagna. Si dice:

Stella nera,
luoghi distesi
respirano

scomparvero

senza dire dove,

Quando il corpo oscuro lo sorprende, l’aeronauta sa di aver appena composto la sua ultima preghiera, se così può definirla.

Salta.

e così
li seguii.

Non è triste, né ha paura.

Lascerò la Terra intatta da buon usignolo

Ed è una cosa ben strana che la sagoma più vasta che si sia mai stesa sulla valle, quella della mongolfiera, sia stata tracciata da un uomo che voleva solo passare inosservato.

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