La quota lavoro e la quota capitale

I leave aside the deeper concern that the primary role of mainstream economics in our society is to provide an apologetics for a criminally oppressive, unsustainable, and unjust social order.”

Rudd, Jeremy B. (2021): “Why do we think that inflation expectations matter for inflation? (And should we?)”,
Finance and Economics Discussion Series 2021-062, Board of Governors of the Federal Reserve System.

Sulla porta del mio ufficio ho appeso lo schema tecnico di una ghigliottina. L’ho fotocopiata da Anéantir di Houellebecq, in cui viene inviata a mo’ di minaccia a un alto funzionario governativo. L’ho trovato un efficace memento di come, in certi momenti storici, posizioni lavorative tipicamente ritenute sicure, grigie e noiose possano rapidamente catalizzare l’odio di folle inferocite. Inizialmente l’avevo messa sul lato esterno della porta, cosicché tutti quelli che passavano per il corridoio se la trovavano davanti. Ciò però aveva lo svantaggio di invitare i miei colleghi a chiederne conto: c’era chi mi bussava per fare una battuta, o chi incrociandomi mi chiedeva direttamente cosa volessi comunicare. Non sono discorsi che mi va di affrontare con chiunque, certamente non in ufficio. Allora ho spostato la ghigliottina sul lato interno della porta.

In effetti, la ghigliottina non l’ho appesa per esporla agli altri, ma a mio beneficio. L’ho fatto quando mi è stato assegnato un progetto di ricerca sulle implicazioni del potere negoziale dei lavoratori per la politica monetaria. Sorprendentemente, si tratta di un tema poco esplorato: i modelli di uso corrente sono per lo più costruiti attorno all’astrazione che vi sia un unico soggetto rappresentativo di tutta l’economia, che al contempo lavora, consuma ed è proprietario dei mezzi di produzione; in un mondo del genere, non vi è alcun conflitto distributivo. Nel mondo reale, invece, il conflitto è ben presente, e la ripartizione del reddito tra capitale e lavoro fluttua nel tempo sulla base del relativo potere negoziale di lavoratori e capitalisti. Talora capita che, se si tira troppo la corda in una direzione o nell’altra, il conflitto distributivo non sia più componibile tramite la negoziazione: è in tali momenti che torna utile la ghigliottina.

Nonostante l’abbia senz’altro notata innumerevoli volte, Marina non mi ha mai chiesto conto della mia ghigliottina. Marina è la mia coautrice su questo progetto di ricerca. Ci eravamo incrociati più di una decina di anni fa, a una conferenza sul lago Maggiore. Ma ci eravamo solo presentati di sfuggita: lei è una donna di insolita bellezza, specie in rapporto agli standard del mio ambiente lavorativo, ed era perennemente assediata da una corte di pretendenti che cercavano di impressionarla. Non essendo mia abitudine prendere parte a tali competizioni, l’avevo ignorata, e mi ero invece dedicato a coltivare i rapporti con Giuseppe, col quale poi scrissi un lavoro sulla stima Bayesiana dei modelli di equilibrio generale. Quando, anni dopo, mi ritrovai collega di Marina, ridemmo molto di come l’avessi snobbata per Giuseppe e le sue stime Bayesiane. Lavorare insieme a lei è un vero piacere. Al contrario di molti colleghi (incluso Giuseppe), di rado ci prendiamo sul serio. Invece, ci divertiamo nello scegliere frasi, figure e diagrammi che possano dare alla nostra ricerca toni politicamente allusivi. Marina si riferisce al nostro lavoro come il paper della FIOM. Il risultato di cui andiamo più fieri è un grafico in due dimensioni rosso e giallo che rammenta la bandiera dell’Unione Sovietica. Il più delle volte, quando Marina è in ufficio da me, nemmeno faccio caso alla mia ghigliottina.

Il paper della FIOM si basa su un modello di equilibro generale in cui i salari sono determinati in una negoziazione dinamica tra lavoratori e capitalisti; ovviamente non è previsto il ricorso alla ghigliottina. La distribuzione del reddito è determinata dal potere negoziale dei lavoratori, che influenza anche la dinamica dei prezzi: quando esso è più alto, sia salari che prezzi sono più sensibili alle variazioni nella domanda aggregata; ne segue che per la banca centrale è più semplice calibrare la politica monetaria. Mostriamo anche che il potere negoziale dei lavoratori è maggiore laddove la presenza dei sindacati è più diffusa. Va però riconosciuto che periodi di elevata sindacalizzazione coincidono anche con una radicalizzazione del conflitto sociale. Un ovvio esempio sono gli anni ’70, con tritolo e P38 al posto della meno pratica ghigliottina.

Se gli eventi dovessero piegare verso un rispolvero su ampia scala della ghigliottina (o dei suoi succedanei), quelli come me e Marina si troverebbero in una posizione rischiosa. Ciò a prescindere dal fatto che siamo lavoratori e non capitalisti: abbiamo un salario da privilegiati e serviamo il potere costituito, il che presumibilmente ci qualifica come appartenenti all’élite. Va detto che, nel contesto del modello, il nostro salario sarebbe spiegato dall’elevato potere negoziale, che scaturisce dalla nostra altissima formazione e specializzazione. Oltretutto, noi facciamo solo ricerca. Ce lo ripetiamo continuamente. Se le cose dovessero volgere al peggio, potremmo rivendicare di aver provato a mettere in guardia contro i rischi derivanti da un’eccessiva erosione del potere negoziale dei lavoratori. Sarà. I precedenti storici non sono incoraggianti. Né il suo prestigio scientifico, né il suo impegno umanitario a favore dei più svantaggiati, né l’aver finanziato un giornale repubblicano salvarono la testa al celebre chimico Antoine Lavoisier. Léonard Autié, il coiffeur prediletto di Marie Antoinette, era certamente un lavoratore, non un capitalista né tantomeno un nobile, ma si salvò dalla ghigliottina solo rifugiandosi all’estero fino alla restaurazione.

Il governatore non è mai entrato nel mio ufficio, per cui non ha mai potuto notare la ghigliottina. Comunque, apprezza molto la bozza del nostro lavoro e ne approva la pubblicazione. Però ci convoca nel suo ufficio per discutere di alcuni piccoli cambiamenti. Vuole evitare il rischio che i nostri risultati siano letti come un’espressione di preferenza per una forza lavoro sindacalizzata. E vuole aggiungere un generico riferimento a riforme strutturali che potrebbero aumentare la produttività del lavoro. Io lo guardo senza riuscire a mascherare perplessità. Marina mi tocca l’avambraccio e prende in mano la situazione: ringrazia il governatore per le osservazioni, chiarisce quello che intendevamo dire e lo rassicura che modificheremo il testo per evitare ambiguità. Mentre scendiamo verso i nostri uffici, mi comunica che si è fatta avanti lei perché io avevo messo su un’espressione da cane bastonato, e cerca di rincuorarmi facendomi notare che la bandiera dell’Unione Sovietica è rimasta intatta. Poi mi trascina nel cucinotto, apre il frigorifero e tira fuori una bottiglia di Ruinart. “Adesso andiamo al fiume a festeggiare e a farci delle belle foto per l’estratto del paper che andrà sul blog.” Camminiamo tenendoci a braccetto e ridiamo ripensando a quanto ci siamo divertiti a lavorare insieme; rapidamente sfocalizzo il paper e il suo contenuto annacquato. Stappiamo la bottiglia e iniziamo a fotografarci. Gli sguardi dei passanti mi fanno sentire invidiato: sembriamo una coppia che festeggia una qualche ricorrenza. In tutte le foto però io esco con un sorriso sghembo e poco credibile che sembra quasi un broncio. Si vede che nonostante lo champagne, la compagnia di Marina e il cielo limpido che promette una notte stellata, quella ghigliottina fotocopiata in bianco e nero proprio non mi è uscita dalla testa.

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