Gli Anemoni

Del file Gli Anemoni non resta che un lungo e corrotto frammento che risale al 2008 e che, tra i suoi estimatori, i più fervidi mandano interamente a memoria. Il frammento è di attribuzione oscura e la sua ultima modifica è datata 30 novembre 2008.

La data di creazione non compare, ma possiamo affermare con certezza che il file abbia iniziato a girare in rete, già nella sua forma monca e contraffatta, nel 2003, in un formato universale scaricabile da qualsiasi piattaforma.
Alcuni ex-studenti di neuroscienze della Sapienza sono pronti a giurare di essere stati tra i primi, se non I Primi, a scaricare il file dal sito www.darksprawl_cell.org in un week-end di primavera, quando alcool e cibo spazzatura, vecchi telefilm e antichi ricordi d’infanzia la fanno da padroni. Ma è chiaro che testimonianze di questo genere non possano essere tenute in considerazione qualora si voglia condurre un lavoro più serio su Gli Anemoni1.
All’epoca il file aveva titolo I semi del melograno2.
Seppure la sua identità sia avvolta da indissipabile ombra, si è concordi nell’attribuire Gli Anemoni a un unico autore. La quantità di successive interpolazioni e modifiche non ci permette, tuttavia, di andare troppo in là nel territorio delle affermazioni decisive. Secondo Stonecipher LaVache Beadsman, ricercatore all’Amherst College, «la storia di modifica del documento indica chiaramente che il file originario è stato alterato innumerevoli volte; che quasi ogni utente che abbia scaricato il file tra il 2003 e il 2008 vi ha anche apportato una qualche modifica. Un tale apporto di modifiche è dunque incalcolabile: è impossibile risalire alla forma originaria de Gli Anemoni3».
Dopo questi primi anni di tumultuosa e sregolata circolazione, la sua forma si è assestata in quella che conosciamo.
Benché non siano in pochi a considerare Gli Anemoni un puerile gioco virtuale, un inganno, uno scherzo, o semplicemente quello che è – e quello che, del resto, sembra –: la bozza incompleta di uno scritto qualunque, la Critica è pressoché unanime nel sostenere che il frammento sia la parte di un’opera più ampia, di argomento indefinibile, che, per ragioni che sono e rimarranno per sempre sconosciute, non esiste più. Non è possibile dire se questa parte sia stata tagliata via dal suo stesso autore o da un censore anonimo prima della grande diffusione, oppure se negli abissi insondabili in cui ha viaggiato, sia andata perduta. Né è possibile dire che ruolo svolga L’episodio di Emme – così è chiamato il brano superstite – nell’economia dell’intera opera, che posto occupi, o che significati abbia o determini.
Per alcuni il brano è la parte di un racconto d’invenzione o forse di un romanzo; per altri è il resoconto attendibile di un fatto realmente accaduto, ma talmente intriso di artifici da sembrare falso; per altri ancora, ciò che narra è la pura realtà, la nuda verità dei fatti così come sono accaduti ai protagonisti misteriosi di questa vicenda, che hanno vissuto in spazi d’elezione, ai confini di luoghi superiori e remoti, nei palazzi celesti della Città.
Secondo una nuova ed esaltante teoria, conosciuta come “La Teoria dell’Abisso”, in voga nelle correnti più giovani e fresche dell’Accademia, l’episodio di Emme non sarebbe altro che la mise en abyme de Gli Anemoni, ovvero il suo prezioso centro, ovvero il suo emblema. Quindi Gli Anemoni per intero sarebbero contenuti nel frammento4. Ma teorie di siffatto genere, seppur eccitanti, hanno molti argomenti a loro sfavore5.
La Critica insiste nell’affermare categoricamente che nient’altro che il frammento di Emme sia conosciuto de Gli anemoni.
Alcuni movimenti sotterranei, infatti, ancora oggi non si rassegnano alla mutilazione e una fede ardente li persuade dell’esistenza della parte mancante. La loro convinzione è che la parte mancante, la parte più vera e cospicua, sia lì da qualche parte, nelle profondità e nelle oscurità del web, e passano le loro giornate nella rete, con occhi pesti e disincantati6, in cerca de Gli Anemoni. Ed è in questo tipo di umanità che si è avvalorata la leggenda secondo cui alcuni individui nascondino un segreto più profondo sotto il velo della fede. Si dice che alcuni tra i primi lettori abbiano letto Gli Anemoni per intero, prima che fossero mutilati nella loro attuale forma. Questi sono detti Cliffhangers.
I Cliffhangers contano nel loro novero pochissimi individui dall’identità occulta.
Tutta la scienza dei Cliffhangers è incomunicabile: nessuno può sapere come abbiano fatto a entrare in possesso della parte mancante, né cosa questa parte contenga.
I Cliffhangers sono sottoposti a terribili ammonimenti sull’obbligo del segreto: la profanazione de Gli Anemoni è punita con la morte e con altri gravi mali7.
La critica più avveduta considera queste persone degli invasati assolutamente inattendibili, degli esaltati, esagitati, fissati, “accecati dalle allucinazioni della loro Sete”8.

Ma la cosa che più sbalordisce dell’inconsueta storia de Gli Anemoni è che, nonostante la sua stessa natura sfuggente e ambigua, il frammento abbia dato vita alla più vasta operazione letteraria di cui si abbia memoria fino a oggi: migliaia e migliaia di lettori hanno completato il frammento spontaneamente, colmando la parte mancante con il frutto del loro ingegno. Di versioni complete de Gli Anemoni ne sono state prodotte migliaia, decine di migliaia, forse centinaia. Le diverse varianti abbracciano una gamma infinita di generi: dalla relazione amministrativa, al romanzo storico, dal poema surrealista al dramma borghese di fine Ottocento, dal romanzo massimalista postmoderno alla tesi di dottorato.
Tutte le infinite innumerabili versioni sono raccolte nel sito www.gli.anemoni_the.books.com.
Per comodità, e perché il lettore non si senta sperduto nella foresta di incertezze in cui lo abbiamo trascinato, sarà utile riportare Gli Anemoni così come lo conosciamo:

*

Nella stanza fa domande molto accurate su alcune usanze dei popoli dell’Europa centrale che riguardano la mietitura del grano e l’ultimo covone, anche detto «la madre del grano».
Perché la definizione dell’ultimo covone passa da «madre» a «vecchia»? Perché, da che si fa a gara per accaparrarsi la «madre del grano», si evita come la peste di tagliare l’ultimo covone e portarsi a casa la «vecchia»?
Stanno sedute con i gomiti su un tavolino dal ripiano di marmo, su sgabelli alti da bar. Veta ascolta molto attentamente tenendo gli occhi fissi sul ripiano. Infine risponde con molta competenza, e le chiede l’origine delle sue domande. A quel punto Emme fa riferimento a un libro dal titolo Il Cappio d’Oro9. Veta dice di aver sentito parlare del libro molti anni prima, agli inizi della sua carriera universitaria, ma di non aver avuto modo di leggerne niente perché a quel tempo il libro era introvabile.
Emme dice di aver letto alcune parti de Il Cappio d’oro in una biblioteca di Salisbury, due anni prima, all’inizio di un’estate […]

Poi decidono di prendere qualcosa da mangiare e ordinano al telefono da un cinese takeaway. La sera scende, le luci degli appartamenti di fronte alle loro finestre brillano. Aprono al ragazzo delle consegne. Veta paga e iniziano a mangiare dai contenitori di alluminio, sedute sul divano, davanti alla TV. La TV dà un vecchio film di vampiri. Dopo aver mangiato, Emme si prepara una sigaretta d’hashish, guarda con lieve avvincimento il film, che Veta invece guarda con sarcasmo e giudica una cazzata. Il film ricorda a Emme pomeriggi afosi d’estate passati nella solitudine della sua stanza, una stretta stanza dalle pareti bianche, con una stretta finestra che dava su uno sterrato con al centro una cabina dell’elettricità. Cieli azzurri, pace.

Il vampirismo è solo una metafora sessuale, dice Veta, e si abbandona contro lo schienale del divano. I morsi al collo, e all’interno delle cosce, la penetrazione nella carne, il sangue che anche in questo film, come in tutti i film di vampiri, è bruno, come il sangue della deflorazione, e non rosso vivo, dice, guardando intensamente la TV.
A Emme l’hashish inizia ad andare alla testa, la gola le si intorbida, pensa di dire qualcosa ma prima cerca col cellulare una parola sul dizionario. La parola è «definizione», e quando fa il primo tentativo di ricerca “definizione significato” le compare la voce di dizionario di «significato», poi cerca “definizione dizionario” e le compare la voce «dizionario». Poi Veta dice qualcosa.
Dice: hai mai sentito la storia della vecchia signora?
Emme scuote la testa.
Si racconta che la vecchia signora insegnasse all’Università di K., inizia a raccontare, quando arrivò l’allievo. L’allievo in realtà era un’allieva. La vecchia signora confidò a uno dei suoi intimi che l’allieva era “l’allievo geniale che aspettava da tutta la vita”, e riversò senza condizioni la sua conoscenza dentro di lei. Ben presto l’allieva si dimostrò degna dell’abnegazione del maestro, arrivando a eguagliarlo nelle conoscenze più profonde. Scrissero insieme un grande libro che riscosse subito ammirazione e prestigio. Ma la vecchia signora iniziò a nutrire un attaccamento morboso per l’allieva che in fondo adesso era diventata una parte di lei, visto che una così tanta parte di lei c’era nell’allieva. L’allieva si sentì presto oppressa dalla fissazione del maestro, e tentò in tutti i modi di sottrarsi. Cercò di cambiare corso, di seguire un altro maestro, e infine decise di abbandonare l’ateneo, ma il maleficio era fatto, l’allieva aveva bevuto da una fonte eterna. La vecchia signora avvelenò l’allieva in un mattino di primavera, mandandole in dono un mazzo di narcisi.

Finito il film, Emme raccoglie i suoi quaderni e le sue sigarette e torna a casa sua.
Il pomeriggio dopo va a un appuntamento al trentesimo piano del grattacielo di High Street. Ad attenderla dietro la porta c’è Madame Hanska con due bicchieri in mano. Madame la bacia sulla guancia e le mette in mano uno dei due bicchieri: bevi su, le dice.
Dove sei stata ieri? ti ho aspettata tutta la sera.
Madame Hanska porta Emme in cucina, le apparecchia un piatto di torta bianca sul fine ripiano di marmo. Indossa una vestaglia rosa leggerissima, di un tessuto che sembra taffettà. Emme mangia la torta con cura fino all’ultima briciola e chiede un bicchiere di aranciata. Madame Hanska apre il frigo, riempie un bicchiere di cristallo cesellato e glielo mette sul tavolo. Ha mani rugose e smaltate.
Allora dove sei stata ieri sera? la sua voce è petulante, ma niente, sono andata a fare delle ricerche, questioni di studio, ma se tu non studi neanche, dice Madame Hanska accendendo una sigaretta sottilissima. Quando Emme finisce di bere madame Hanska la prende per mano e la fa alzare e la porta in una camera da letto bianca, la camera da letto ha le pareti di vetro eccetto quelle che danno verso le altre stanze, e sembra coperta di veli bianchi che volano. Madame Hanska conduce Emme sull’enorme letto bianco e le infila qualche caramella in bocca, posso fumare un attimo una canna? chiede Emme.
Purché tu ti sbrighi e ce l’abbia già pronta. Madame Hanska si lascia cadere sul letto, i suoi capelli coronati sono bianchissimi e impolverati di talco, la sua età oscilla tra i settanta e i settantacinque anni.
Emme si toglie dalla tasca stretta dei jeans un pacchetto di sigarette tutto accartocciato, e ne tira fuori una piccola rattrappita cannetta. Si mette a fumarla in piedi davanti a Madame Hanska che è seduta sul letto e comincia a sbottonarle i pantaloni.
Sai, credevo che oggi non fossi sola, che ci fosse anche Julliard con te, dice Emme. La canna ha un aroma di smalto per unghie che dà alla testa.
No, dice Madame Hanska, Julliard è andato a quelle lezioni di stand up comedy su Second Street, e intanto si abbassa lungo le gambe di Emme per slacciale le scarpe, e gliele slaccia, gliele allenta e le regge un polpaccio per aiutarla a sfilarsele.
Credevo che da quassù si vedesse il BlueMoon Park, dice Emme, aspirando profondamente.
Oh, certo che si vede, se ci fai attenzione, tesoro, si vede, laggiù, dice Madame. Poi cala i pantaloni di Emme fino alle caviglie. E le dice vieni qui.
Emme spegne il mozzicone della canna sulla moquette bianca e copre Madame, si sdraia su di lei, le apre la vestaglia di taffettà sotto la quale la vecchia è nuda. Emme si adagia sul corpo della vecchia tenero e livido.
La vecchia manda un lungo sospiro: ieri ti ho aspettato tutta la giornata. Mi dispiace, dice Emme, col fiato che sa di fumo e di fogna. La luce piena del pomeriggio inonda la stanza da letto. Xx xxxxxxx xx xxxx xxxxxxx xxxxxxx xx xxxx xxxxx xxxxxxx, poi Emme si risolleva, rimane unitx alla vecchix dal xxxx; si risolleva, xxxxxxx xxxxxx x xxxxxx la vecchia per i xxxxx, x xx xxxxx xxxxx xx xxx x la guarda. la vecchia respira a bocca xxxxxx. X xxxxxxxxx xx xxxx xxxx xxxxx. Xx xxxxxxxxx xx xxxx10 s’ingrossa contro il corpo della vecchia:

Emme inizia a respirare con leggero affanno, poi si alza e va nel bagno della stanza, prende un asciugamano pulito e bianco e lo arrotola, lo mette trx xx gxmxx xxxxx vxxxhxx x xx montx soprx, xx vxxxhxx xomxnxxx x urxxrx xon voxx roxx x proxonxx, unx xunghxssxmx voxxxx trx xx X x xx O. xmmx xontxnux x txnxrxx pxr x poxsx, pox un poxso sxuggx xxxxx prxsx xx xmmx x x xx mxno xxxxx vxxxhxx xxnxsxx xn mxzzo xxxx gxmxx, txrx vxx x’xsxxugxmxno, sxrxttonx xx mutxnxx xx xmmx, xnxzxx x strxppxrxx, quxstx togxxxx, togxxxx, xmmx sx soxxxvx, x sx xxxxssx xx mutxnxx, xxxrxsxx xompxxtxmxntx xx xorpo xxxxx vxxxhxx, x xnxzxx x sxrxgxrsx xrutxxmxntx. Dxxxx vxxxhxx xoxx un xxquxxo torxxxo xhx xormx prxsto unx pozzx suxxx xxnzuoxx. Xxxsso xxxsso urxx xx vxxxhxx. Emmx sx soxxxvx x xprx un cxssxtto xxx xomoxxno xxxxnto xxxx txstxxrx xxx xxtto, nx xstrxx un xxoxo xx xormxto pxxxoxo x xo xnxossx, pox xopo xvxr xnxugxxmo pxr quxxxhx mxnuto sux xorxx xxxx’xpxrturx xxxxx vxxxhxx, xopo xhx xx vxxxhxx l’ha xxpplxcaxa dx xxexxere dx xndxgxare, exxe affonda nella vecchxa. E affonda e
affonda
fino a che sull’elastico dello sfintere non gravi il carico di rottura.

Di sera è ancora a casa di Veta. Si accende una canna e la fuma lentamente. Veta sta parlando al telefono, cammina alla svelta per il corridoio in cerca di qualcosa. Emme guarda la vampa del tramonto che infiamma viale Kennedy.
Veta dice qualcosa del tipo: certo certo non ti preoccupare ci sentiamo ciao e raggiunge Emme in cucina. Guardano in silenzio oltre la finestra.

Il cielo sembra una coltre di piume, si avverte odore d’acqua e di foglie secche, il crepuscolo scende, la sera cala, la cucina si oscura, diventa buia. Veta stende un braccio sul tavolo in direzione di Emme come se volesse afferrarla, o come se volesse prenderle la mano, devo farti vedere una cosa. L’aria è una condensa umida e calda, e il rumore del traffico è dolce come il canto delle sirene.

Veta conduce Emme fino alla sua stanza in penombra. Si siede sul letto, tira fuori un libricino minuscolo, te lo ricordi?
Emme lo prende in mano.
Certo, ma questa sembra la mia copia.
È la tua. Me la avevi prestata tanti anni fa. Ricordi? Emme si siede sul letto, si guarda la copertina del libro tra le mani: Nel Folto11.
Sul fronte della prima pagina sono scritti dei versi in una calligrafia che non riconosce.
È la tua calligrafia? chiede a Veta.
No.
Sei sicura?
Ma certo! C’era già quando me l’hai dato.
Allora legge i versi:

Ce ne andremo via dal fuligginoso Folto,
ce ne andremo in Alaska o in Nord Carolina,
negli avamposti dell’estrazione dell’oro,
a fare il tè con aghi d’abete,
e un ragazzino per guida che sa cavarsela
e non si perde nei boschi.
Mangeremo i fiori delle catalpe
e lingue di bue all’aceto di sherry
e porcini grossi come cuori d’atleta.
Andremo a vedere i Cherokee nelle riserve.
Il vecchio dito ossuto della morte non ci troverà mai laggiù12.

Emme legge e rilegge. Leggere i versi è come camminare su una spiaggia marina, nel folto cuore nero dell’adolescenza, in una notte verde e nera, dove ci sono desideri che vengono descritti come grandi maree azzurre, dove risuona eternamente la canzone della giovinezza, e mente affermando che una volta era sua.
La stanza è definitivamente immersa nel buio, Veta si alza dal letto, si stiracchia con le mani sui reni. Vuoi una pizza?
Mangiano la pizza una accanto all’altra sul divano, con la TV spenta.
Mangiano in silenzio, Emme cerca di riportare la conversazione a dove si era interrotta la sera prima. La madre del grano, la vecchia signora, il vampirismo, dice: non riesco a capire una cosa. Perché chi si riempie si svuota.
Veta non capisce la domanda, le chiede di riformulare.
Perché chi si riempie con la lettura, per esempio, o con il cibo, o con il lavoro, allo stesso tempo è come se avesse un buco sul suo fondo, che più riempi più si svuota. O come se ciò che entra amplificasse il contenitore: come un addizione di spazio, come se milioni di oggetti addizionassero lo spazio di altrettante porzioni di spazio.
Veta corruga le ciglia. Forse il riempimento è illusorio e la parola riempire non è adatta per definire cosa fa uno leggendo, o mangiando, o lavorando, dice.
Qual è la parola giusta, allora?
Veta si avvicina a Emme. Adesso è davvero molto vicina a Emme. Io non lo so. La guarda. Una volta, dice, il mio amore mi regalava molti libri. Ma mi pregava di non leggerli, perché era convinto che i libri svuotassero la mente. Poi i suoi occhi hanno uno sguardo lontano, Emme fuma, nel cielo notturno sono disegnate onde luminescenti. Veta beve da una bottiglia d’acqua, è tranquilla e serena, guarda Emme con tranquillità e serenità.

Quando si addormenta, Emme sogna un fondale bellissimo dalle acque verdi, sogna il furto di un oggetto divino e il conseguente inseguimento, la fuga, la maledizione che tuona su ali di uccello.
Quando si sveglia è notte fonda. Guarda per qualche minuto Veta dormire, si dice che non dovrebbe guardarla, che, come recitava un disincantato aforisma della sua adolescenza, guardare qualcuno dormire è come aprire una lettera non indirizzata a noi.
A casa si prepara una tisana. Riprende a leggere il libro da dove l’aveva lasciato: gli atterriti selvaggi delle isole Kei, a sud-ovest della Nuova Guinea, stremati da lunghe lotte e malattie, si arrendono agli spiriti maligni che abitano ogni albero e ogni sasso del bosco, e dicono: «Oh spiriti maligni che abitate negli alberi, e voi che abitante nelle caverne, e voi che abitate sotto la terra, noi vi offriamo questi xxxxxxxxx, queste primizie, questi gong etc. Fate cessare la malattia: fate che la gente non muoia più».
Poi si sofferma su quella parola: xxxxxxxxxx13 e rimane colpita: è da almeno venticinque anni che non sente quella parola. La pronunciava uno smilzo ragazzino scuro, che giocava ai video giochi nel fast food sotto la sua casa al mare, quella piccola casa al mare in quel piccolo paese che esiste solo nei.
La diceva, ogni volta che prendeva l’oggetto che gli faceva guadagnare una vita extra nel gioco, «Prendiamo il xxxxxxxxxx», «Ecco un xxxxxxxxx», oppure semplicemente: «Xxxxxxxxxx».
Vede lo smilzo ragazzino primeggiare nella luce della salagiochi, nel calmo pomeriggio, nell’estate impassibile. Il ragazzino gioca in una luce d’oro, gli altri ragazzini rimangono ipnotizzati dal suo gioco: uno strano rapimento li incatena a lui.

Allora inizia la ricerca della parola sul dizionario on line, una ricerca che si rivela lunga, faticosa e infruttuosa.

[]

Davvero te ne vuoi stare lì, tutta la giornata a leggere?
Sul bordo del lago, Emme indossa un cappello di paglia e fuma una sigaretta, Veta ha i pantaloni rimboccati alle ginocchia, e stringe in mano una canna da pesca alla mosca, Emme la guarda brevemente, raggi d’oro le inondano i capelli, il sole è nel suo declino.
Sì sì rimango a guardare.
O sarà anche che non hai proprio idea di come si regge una canna da pesca. Veta ride. Emme continua a leggere mentre Veta si addentra nell’acqua. Esegue un lancio molto complesso.
Sulla questione della trasmissione del male, dice Emme nella sua direzione.
Cosa? dice Veta.
Come
Veta si volta verso Emme. Cosa vuoi sapere?
Il suo sorriso è splendente.

Perché il possesso è anche possessione?

[…]

Nel tardo pomeriggio, quando la calura è dolce, Emme siede in veranda, davanti al tavolo da picnic, una lieve patina di sudore brilla sul suo collo, guarda da un minuscolo televisorino Panasonic la nuova serie TV prodotta da Madame Hanska.
La serie è ambientta tra i monti della Columbia Britannica.

[…]

Emme guida per quaranta chilometri a nord, verso la Higher Ground Therapeutic Boarding School. Dentro i recinti della Higher Ground, ci sono laghi e capanni, granai di legno e ponti, ragazzi con problemi di sostanze, dipendenza, abuso e disordini.
Il direttore Cooper è in attesa nel grande cortile, davanti all’edificio principale. Alla Higher Ground i ragazzi sono chiamati Cliffhangers14 che vuol dire letteralmente: chi rimane appeso a un precipizio. Sono per lo più ragazzi magri e flessuosi che parlano a voce bassa nel grande cortile e sono obbligati a fare lunghe escursioni nei boschi. Il direttore Cooper conduce Emme per un lungo corridoio fino al suo ufficio che dà per una ampia vetrata sul cortile, su verdi prati e boschi.

La situazione non è delle migliori. Ha parlato ancora.
Che cosa ha detto? chiede Emme titubante.
Il problema più serio qui non è che cosa dice, dice il direttore, ma che ha fatto uso di droghe all’interno dell’istituto fin dal primo giorno, capisce? aveva venti dosi di PurpleSeeds nascoste nel tubetto del dentifricio. Capirà che è una cosa gravissima.
Adesso dov’è?
Nella stanza di vetro. Dovrà stare nella stanza per tre giorni, in completa esposizione, al centro dei dormitori. Niente della sua vita verrà nascosto per tre giorni.
Posso vedere Elle?
Il direttore assume un’aria di scocciata superiorità: è ovvio che può.
Il direttore fa strada a Emme e si inoltra all’interno dell’edificio. Salgono rampe di scale secondarie e strette. Poi sbucano in un ampio corridoio, che ha tutta la solidità di un piano terra, ma Emme sa che non è possibile che quel corridoio si trovi al piano terra.
Al centro del larghissimo corridoio che mette in comunicazione tutte le stanze c’è la stanza di vetro. Elle siede alla scrivania. Scrive su un foglio.
Si avvicinano con passo calmo alla stanza di vetro.
Come vede, dice il direttore con voce nasale e acuta, non ci sono specchi nella stanza di vetro. L’internato nella stanza di vetro deve imparare dalle facce degli altri a vedersi. Vede, camminano lungo il perimetro della stanza di vetro, niente specchi. Saranno le facce disgustate o soddisfatte degli altri a dirti se sei pettinato, o macchiato, o vestito, o se stai facendo cose ributtanti, tipo scaccolarti e nutrirti delle tue stesse secrezioni. Il direttore tira su il mento e prende una posa dignitosa e solenne. Qui all’Higher Ground funziona così. Può non piacere. Ma qui è così che si fa.
Elle ha l’aria scontenta e siede su una sedia bianca. Ha una divisa fatta di pantaloni e maglietta chiara.
Posso parlarci?
No, mi dispiace non può: è in isolamento.
Ma Madame Hanska gradirebbe molto che io parlassi con
Dica a Madame Hanska che la serietà prima di tutto!

[…]

La seconda puntata inizia con alcuni ragazzi che tornano da un’escursione di dieci giorni nel bosco. In un video condensato di un minuto, si vede un ragazzo davanti al fuoco che costruisce un utensile per alimentare le fiamme. Il ragazzo sembra un ragazzo primitivo. Di secondo in secondo, l’utensile si evolve da una rozza elica in una sorta di caminetto in terracotta alimentato con la frizione di un archetto.
La notte scorre. Emme guarda tutte le puntate della serie. A un certo punto non può credere ai propri occhi: Elle è nella stanza di vetro, al centro della serie.
Rimane sbalordita davanti allo schermo. Ancora intontita, guarda una cascata di brevi video che mostrano esperimenti chimici, cottura di cibi, cuccioli di animali esotici. Si fanno le sei del mattino, allora decide di andare da Madame Hanska. Arriva davanti alla grande entrata del suo grattacielo quando albeggia. Sale all’appartamento di Madame.
Il nome della serie Tv di Madame Hanska è:

*

Le interpretazioni cui ha dato adito l’Episodio di Emme sono molteplici ma si possono raggruppare in due grandi posizioni concettuali: quelle che sostengono che l’episodio abbia un significato più profondo, e quelle che sostengono il contrario.
In questa sede rimettiamo gli approfondimenti ai testi più importanti. Ricorderemo solo la parabola dell’illustre professor Helm che a conclusione della sua lunga carriera di studi su Gli Anemoni, tenace cercatore del Significato Nascosto, arrivò all’esito finale: nessun significato è contenuto ne Gli Anemoni: «Chi ha scritto questa strana, bizzarra, tormentosa opera, aveva di mira esclusivamente il divertimento del lettore. Niente più»15, e si chiuse in un ostile silenzio.

Molte congetture si sono fatte sulla continuazione del frammento. Molti intravedono un epilogo sanguinoso tra le righe del testo. Alcuni dei più importanti studiosi hanno sostenuto che la naturale prosecuzione di questa storia preveda l’omicidio, la soppressione, o comunque un qualche tipo di annichilimento. Noi non sapremmo come intendere quel “naturale” e preferiamo fermarci qui con le supposizioni.
I maggiori critici contemporanei nelle loro pagine teoretiche è come se avessero avuto la visione di un lungo fantasma nebbioso, di un’ombra, di un doppio nero che prosegue questa scena.

Ma è chiaro che nessuno può dire cosa circondi l’Episodio di Emme.
I passi che fanno i nostri protagonisti dopo l’ultima scena conducono irrimediabilmente nel vuoto,
dentro la sparizione.
Il passo successivo è
l’annullamento.


1 Il file de Gli Anemoni è disponibile su GnG.town.bioscambio.com in tutte le lingue e formati.

2 Donald A. Davis nel suo Tornare a casa con la peste: storie di collezionisti patologici, Milwaukee, Macmillan, 2015, riporta l’intervista a un rubizzo collezionista del North Dakota che custodisce gelosamente la sua copia PDF de I semi del Melograno in una pendrive d’oro. Nella copia del North Dakota, datata 2003, al posto della parola «vecchia» occorre ogni volta la parola «grande», come in tutte le copie con titolo I semi del Melograno, ma questa differisce dalle altre per la presenza di un’iscrizione, di un’epigrafe, all’inizio del testo. L’iscrizione è questa:

SEGUENDO UNA PISTA DI NARCISI, PERSEFONE VENNE ATTIRATA AL SUO DESTINO. IL FRESCO PRATO FIORITO DI NARCISI SI SPALANCÒ, PLUTONE, RE DEI MORTI, IRRUPPE FUORI DALLA TERRA E LA RAPÌ, SUL SUO CARRO D’ORO, PER FARLA SUA SPOSA E REGINA DEL TENEBROSO MONDO. QUANDO ZEUS ORDINÒ A PLUTONE DI LASCIARE LA FANCIULLA, IL TORVO RE DEI MORTI SORRISE E OBBEDÌ, MA PRIMA DI RIMANDARE AI REGNI DELL’ARIA, SOPRA IL CARRO D’ORO, LA SUA REGINA, LE DIEDE DA MANGIARE I SEMI DI UNA MELAGRANA, COSA CHE NE ASSICURAVA IL RITORNOª.

 

3 «È come se ogni utente si fosse sentito in dovere di correggere, aggiungere, togliere fosse anche una sola virgola o una sola lettera da una sola parola, come se una misteriosa forza lo avesse attirato dentro la pagina. È probabile che molti di loro non si siano neppure resi conto di aver messo le mani in quella cosa». Beadsman Lavache S., La Galassia Mutamento. Modifica e decadimento nell’era post-digitale, Cleveland, Frequent & Vigorous, 2009, pp. 1576-1899.

ª [N.d.R.] L’epigrafe è il rimaneggiamento di un paragrafo contenuto ne Il ramo d’oro di James Frazer, al capitolo “Demetra e Persefone”.

4 I fautori della Teoria dell’Abisso sono convinti, avendo il frammento, di poter ricostruire perfettamente l’intero. A questo proposito, lo scrittore Jean Belleguele, sotto la supervisione del professor Ferrando Pereira, esponente di spicco della Teoria dell’Abisso, e della sua squadra di ricercatori dell’Università di Madrid, è impegnato in un minuzioso progetto di rifacimento de Gli Anemoni, che avrà titolo Gli Anemoni: la ricostruzione e vedrà la luce per i tipi di Gallimard nel 2045.

5 Per esempio: se il frammento fosse una mise en abyme, come lo è la preziosa favola di Amore e Psiche per Le Metamorfosi, dovrebbe avere un aspetto delimitato e autoconclusivo, dovrebbe avere un carattere in qualche modo mitico e il suo contenuto dovrebbe essere quantomeno simbolico, dovrebbe essere una sezione ben definita e ben delimitata possibilmente al centro dell’opera, tutte cose che l’Episodio di Emme sembra non essere. Ma una minaccia di rovina ben più grave cova sotto la splendida positivistica apparenza della Teoria dell’Abisso: Se L’episodio di Emme fosse davvero una messa in abisso de Gli Anemoni, se fosse davvero il suo simbolo, sarebbe impossibile definire l’oggetto cui allude: come sono infinite le rette che passano per un punto, infiniti oggetti si riflettono in un solo simbolo; migliaia di cose, desideri, idee, concetti, persone, emozioni, pensieri e rappresentazioni possono essere sintetizzati e simbolizzati nell’Episodio di Emme. Ben lungi dal ritrovare la perduta forma, Gli Anemoni risulterebbe così ancora di più sperduto nell’infinità delle forme.

6 A questo proposito può essere utile ricordare l’acclamato best seller La vita nel deep web tra memorie e recensioni, di Alex Medawar (Londra, 2020), che narra delle tetre avventure virtuali di un Cercatore de Gli Anemoni che, dopo aver assaporato tutto della rete profonda, rimane disgustato e diventa un rigido nichilista.

7 I Cliffhangers si differenziano in una più ristretta cerchia. Di questi ultimi si crede che abbiano essi stessi mutilato il file prima della diffusione. Le ragioni della mutilazione sono profonde e confuse, e qualcuno ha ipotizzato abbiano a che fare con il bene superiore dell’umanità. Nel suo libro più famoso, l’antropologa Katie Fishermann riporta le parole di un Cliffhanger raccolte durante un viaggio impervio sulle montagne della Columbia Britannica, dove alcuni di loro hanno stabilito i loro eremi. Il Cliffhanger diceva: «Alcune cose non possono essere dette, né conosciute. Alcune cose devono rimanere nascoste. Per quello che aveva voluto conoscere, Narciso perse sé stesso.» Fishermann K., I Cliffhangers delle montagne: viaggio iniziatico tra narcosi e gnosi, Vancouver, Higher Ground Press, 2013, p. 667.

8 Cit. Giancarlo Morini, Una critica seria al fanatismo in letteratura, Roma, Carocci editore, 2022, dove, dilungandosi molto sul caso de Gli anemoni¸ Morini afferma: «Un esempio noto di fanatismo al contrario, NON per quello che si è letto, ma per quello che NON si è letto (!) anima i seguaci del libro virtuale Gli Anemoni. Costoro essendo molto lontani dal conoscere l’opera che professano di conoscere e amare sopra sé stessi, hanno sviluppato una sorta di ossessione di segno inverso: in loro, il desiderio per l’oggetto del desiderio è diventato così doloroso che, in una sorta di magico processo di assimilazione, si sono convinti di possederlo.» v. pp. 281-350.

9 Il libro risulta inesistente.

10 Secondo Henry James Pansekt, professore associato all’Università di Pasadena, le cancellature sono aggiunte successive alla diffusione, non operate dall’autore, e assolutamente NON autografe, se si può dire così, e aggiunge molto di più: «Forse le cancellature sono ottenute attraverso un meticoloso processo di sostituzione di ogni lettera con la lettera X eseguito da un programma molto simile al megacrypt.exe, ma in grado di criptare i propri codici al termine di ogni processo di criptazione. È quasi certo che il primo censore (Alfa), quello che ha barrato la sezione nel primo paragrafo, sia diverso dal secondo (Beta). Beta ha come voluto suggerire un crittogramma, proporre un gioco, un enigma, e vediamo che ha lasciato trasparire alcune lettere a tale scopo; Alfa ha cancellato furiosamente e inopinatamente il testo». Pansekt H. J., Fondamenti di informatica celeste, San Francisco, 2020, p. 2035.
In questo momento è a lavoro un programma di decriptazione, elaborato dallo stesso Pansekt con l’aiuto di alcuni studenti del suo corso in “Progettazione del Software”, per decifrare la seconda sezione barrata del testo. Il programma ha nome A-letheia®, ed è previsto che finisca di processare il paragrafo nel 2027. Sempre nel libro della Fishermann, quando viene interrogato sulle cancellature presenti in quest’ultima parte, il Clifferhanger delle montagne rilascia un secco No comment. Op. cit., p. 668.

11 Il libro risulta inesistente.

12 Eccetto l’ultimo che è di Yeats, questi versi e il loro poeta non esistono.

13 Sempre Pansekt suppone, nel suo delirio informatico, che questa parola di dieci lettere esista, e possa essere trovata facilmente. Rimandiamo sempre a Pansekt, op. cit., pp. 1888-2102.

14 Questa è l’unica parola di cui si ha certezza che sia il frutto di una manipolazione del testo: i lettori possono aver aggiunto questa parola per diverse ragioni: o perché il mito dei Cliffhangers si era già diffuso, o perché hanno desunto la parola dalle loro ricerche. Nelle versioni precedenti al 2005 de Gli Anemoni, lo spazio della parola è vuoto, da qui il corsivo. Per approfondimenti vedi: Kenney E.J., L’Episodio di Emme negli Anemoni. Testo, Introduzione e Commento, Cambridge, Cambridge University Press, 2019; Paratore I., Gli Anemoni, commento filologico, Siena, Libreria Scientifica, 2014.

15 Cfr. Helm E. Addenda e corrigenda a «Das ‘Märchen’ von Gli Anemoni», Neue Jahrb. F.d. Klass. Altertum XXXIII (2014), pp. 170-209.

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