L’amante di Petra

Quando Petra mi vede impallidisce: sono l’amante di suo marito, lo sa.
Arrossisce subito dopo, come se la colpa fosse sua. Ma in un matrimonio borghese la colpa non è di nessuno, la responsabilità di entrambi.
Mi saluta come se fosse il caso di farlo, poi passa oltre.

“Ho incontrato Petra”, dico ad Andrea al telefono.
“E?”.
“È diventata del colore delle pesche a maggio”.
“Ha un amante”.
“Ah, ecco, mi spiego allora. Tu come stai?”, chiedo.
“Incasinato, bene”, risponde al solito.
“Vieni qui?”.
“No, vengo domani”.
“Alle cinque?”.
“Ti incontrerò sul Kursal alle cinque”, ride, “sì”. Abbiamo rifinito il nostro linguaggio in semicodice in anni di frequentazione distratta e concentratissima, piena di desiderio, di fughe, di malcelato amore.
Alle quattro inizio a prepararmi. Mi trucco gli occhi con la matita nera e la bocca di vermiglio, metto un vestito lungo, il mio stile casalingo Marta Marzotto, color pervinca e fitto di perline luccicanti. Aspetto seduta, memore della bellezza dell’attesa in un film tedesco in cui lei era indubbiamente pazza, ma sapeva aspettare l’amante. Ascolto Lolli, lo amiamo entrambi, e muovo la testa e ballo e aspetto e ballo sapendo che lui non verrà. Non vorrà venire. Sono le sei e mezza, e lui difatti non è venuto. Mi stendo a terra e attendo ancora, Ofelia ferita nei suoi fiori di maggio.

Si fa sentire il giorno dopo, ma io sono già nel mio scafandro d’indifferenza, in più percepisco un fastidiosissimo ovulare, dunque fuori dai piedi, tutti. Telefona sul fisso che mi ostino a tenere in casa, rosso e splendente, e faccio Nanni Moretti. Chiedo di Petra, come sempre, e metto giù. È da anni che andiamo avanti così, io scappo lui torna lui scappa io torno, Petra nel centro, Petra non più nel centro perché con gli amanti, petrosità di foglia in un rapporto, il nostro, estremamente (estremamente!) solido. Ci amiamo con bellezza, questo c’è da dire, e il resto importa, non importa, non so.

Il giorno dopo si presenta a casa, lo accolgo con la diffidenza dei gatti. Guardiamo insieme uno due tre film di Sebastián Silva, e ci stendiamo come ad avere tutto il tempo del mondo. Non è forse così, in un iperuranio di bellezza? La mattina dopo, in un afflato primaverile, andiamo a camminare nel parco. Ci stendiamo anche lì per ribadire il concetto e raccogliere margherite. Quando il tempo non è normato, la norma socchiude gli occhi, e il tempo sorride e noi con loro.
Andiamo a bere una spremuta e un latte macchiato a testa, e lì inizia.
“L’amante di Petra è un mio caro amico. Non so come prenderla”.
“Di spalle per farci l’amore”, dico.
“Sì, scherza…”.
“Certo che scherzo! Aprite la coppia, fate come Franca Rame e Dario Fo in Coppia aperta, quasi spalancata”, sorrido.
“E tu chi fai?”.
“La spalancata!”.
“Ingiuria, idolatria, amore mio!”.
“E chi ci porta via…”, chiudo gli occhi volta al sole, e resto così, in un minuto beato.
“Quanto scommetti che presto ci vedremo tutti e quattro nello stesso posto?”, faccio poi.
“Scommetto dieci baci”.
“Belli”.
“Belli”.

Poco tempo dopo, Petra ci invita a cena, a me e al suo Paolo, rendendomi vincitrice di dieci baci. Beviamo Blangé, parlando del tempo e del governo, ritraendoci ognuno per mascherare i ruoli. Siamo quattro burattini inermi, bloccati in una maschera di bruttezza. La cena procede quieta, tutti ci ritraiamo in un guscio premonitore.
“Non trovate che questi filtri siano ridicoli?”, dico in un momento di silenzio prolungato non dal gustare le mazzancolle e le vongole, di certo. Si sa che quando qualcosa è particolarmente buono può cadere un silenzio caldo sulla cena, ma non è questo il caso. Si sta invece in una stazione fredda, una stazione invernale, come quella di Rimini dove tira il vento dal mare.
“Tutti sappiamo tutto, non c’è bisogno di tutta questa creanza”.
“Voi state bene insieme”, dico a Petra e al loro ospite. “Noi pure, io e Andrea. Prendiamola meglio, se l’intelligenza è anche una forma di adattamento al contesto magari ci saltiamo fuori”.
Petra è bella e non risponde, indossa un vestito verde bellezza, il colore – dicono – di chi è sicuro di sé, e ametiste, e un rubino.
“Petra”, le dico, “non ho niente contro di te, ti adoro da sempre, sei l’eleganza incarnata eppure non sono mai stata gelosa di te”.
Paolo è un classico intellettuale di sinistra, molto simpatico nel suo essere un tipico esemplare codificato; è anche bello, con il suo ciuffo di capelli smozzicati, ma non come Andrea, che è la mia adorazione. Non rispondono neanche gli altri due, finché il marito fa: “Ha ragione”.
Petra aspetta un momento e poi si alza di scatto facendo cadere la sedia costosa, Paolo non si muove, Andrea tentenna.
“Che ragionamenti!”, urla andando via. “Vattene va’, l’eleganza incarnata. Ma vaffanculo, con eleganza”.
“Ma se hai un amante…”, mi sporgo dalla porta andando via.
Mi piacciono solo i riti pagani, e questo lo è stato. Mi sento la fata cristallina, quella che mette a posto le cose di tutti con l’amore universale anche se i riverberi non sono gli stessi.
La sera dopo Andrea mi chiama, dice “Vengo da te”, e ne sono contenta.
Non è mai arrivato.

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